Il Dieselgate comincia a fare "vittime" processuali. Rupert Stadler (l'ex amministratore delegato di Audi coinvolto nello scandalo Dieselgate) è stato condannato a 21 mesi di carcere per frode con la condizionale. In aggiunta a questo dovrà pagare una multa da 1.1 milioni di euro. L'ex dirigente si è dichiarato colpevole soltanto il mese scorso, dopo aver trascorso gli ultimi due anni sotto processo a Monaco. E' il primo dirigente di una certa importanza del gruppo Vokswagen (in cui rientra la filiale Audi) ad aver ammesso una responsabilità diretta nello scandalo Dieselgate.
Il caso in questione ebbe inizio nel settembre del 2015: l'Agenzia statunitense per la protezione dell'ambiente (EPA) trasmise al gruppo Volkswagen un avviso di violazione dell'atto legislativo degli Usa sulla qualità dell'aria, ossia del Clean Air Act. L'azienda automobilistica tedesca, secondo quanto scoperto dall'Agenzia, falsificò le emissioni inquinanti dei motori diesel di molti suoi veicoli per rientrare entro i limiti della legislazione ambientale. Nel momento in cui la multinazionale dell'automotive commercializzò le macchine negli Usa e in Europa, i livelli di ossidi di azoto superarono fino a quaranta volte la soglia raggiunta durante i test. Questo perché i progettisti delle auto su cui venivano montati questi motori diesel (TDI, ad iniezione diretta) pensarono bene di dare vita ad una centralina, il cui software avrebbe attivato il sistema di controllo delle emissioni esclusivamente durante le prove di omologazione. I veicoli incriminati (11 milioni in totale, di cui 500 mila nei soli Stati Uniti d'America) sarebbero stati immessi nel mercato dal 2009 al 2015.
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