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Marocco: oltre 2.800 i morti, di ritorno gli italiani bloccati sull'Atlante

Marrakech cerca la normalità, riapre la medina

E' finalmente libera di tornare a casa la famiglia di turisti italiani rimasta bloccata sui monti dell'Atlante. Sono in auto, incolonnati, dietro le ambulanze che hanno la precedenza, sulla strada che li porta a Taroudant. Ad attenderli, al passo del Tiz'n Test, il console italiano di Agadir, Antonella Bertoncello. I tre italiani, padre, madre e figlio di 15 anni, arrivati il 31 agosto in Marocco, hanno il volo di rientro da Fes, il 14 settembre.

La corsa contro il tempo si fa sempre più frenetica, man mano che passano le ore, alla ricerca di eventuali superstiti al violento terremoto che sabato scorso ha colpito il centro del Marocco. Si scava tra le macerie, anche a mani nude, mentre in alcune zone remote dell'Atlante i soccorsi tardano ad arrivare. E il re Muhammad VI ancora non si fa vedere: né in tv, né nelle aree colpite a mostrare vicinanza ai suoi sudditi che piangono quasi 2.870 morti, limitandosi a decretare tre giorni di lutto nazionale e a lanciare un appello alla preghiera. I feriti sono 2.500, e molti tuttora in attesa di cure, ma la distruzione - soprattutto nella provincia di Al Haouz, epicentro del sisma - è tale che il bilancio appare destinato a salire ancora.

In questo quadro, ha destato stupore la decisione di Rabat di accettare aiuti solo da 4 Paesi (Spagna, Gran Bretagna, Emirati arabi uniti e Qatar), mentre dalle prime ore tutta la comunità internazionale si è detta pronta a inviare personale e materiale umanitario, dagli esperti nella ricerca delle persone ai beni di primissima necessità. Tornato proprio da Parigi - dove era in visita privata - poche ore dopo la micidiale scossa di magnitudo 7, il re ha partecipato domenica - insieme al figlio ventenne, il futuro Hassan III - a una riunione di crisi del governo, finita con un comunicato e senza alcuna dichiarazione alla nazione. Il ministero dell'Interno marocchino ha quindi chiarito di aver accettato l'aiuto solo di quei quattro Paesi "in questa fase specifica", giustificando la sua decisione con il fatto che "una mancanza di coordinamento in tali situazioni potrebbe essere controproducente". Tuttavia, ha spiegato Rabat, "con l'avanzamento delle operazioni di intervento, la valutazione dei possibili bisogni potrebbe evolversi, il che consentirebbe di sfruttare le offerte presentate da altri Paesi amici".

Il mondo però si interroga su questo ritardo nell'accettare gli aiuti mentre i marocchini colpiti lanciano sos disperati. E sembra bruciare come uno schiaffo soprattutto il no alla mano tesa dalla Francia: l'ex protettorato francese e Parigi sono ai ferri corti, in particolare da quando è scoppiato il caso Pegasus che avrebbe rivelato come Rabat intercettasse le telefonate del presidente Emmanuel Macron attraverso il sistema israeliano, sullo sfondo di altre crisi come quella del Sahara occidentale conteso. Nessun Paese dell'Ue riconosce l'indipendenza del Fronte Polisario, ma la Spagna avrebbe recentemente ammorbidito le sue posizioni per il bene delle relazioni tra le due sponde dello Stretto di Gibilterra. Parigi ha smentito che esista una "querelle" tra i due governi: la ministra degli Esteri, Catherine Colonna, ha invitato a rispettare la decisione del Marocco che è un "Paese sovrano". E ha ribadito che la Francia "resta a disposizione" del regno di Muhammad VI, con cui Macron ha avuto "contatti a più riprese", e annunciato uno stanziamento di 5 milioni di euro per aiutare le ong attualmente "sul posto". Anche la Commissione europea ha sbloccato un milione di euro per "contribuire alle necessità più urgenti della popolazione" e ha contattato i Paesi membri "per una possibile mobilitazione di squadre di intervento". Ma sempre "qualora il Marocco lo ritenga necessario".

Così come l'Italia, ha ribadito il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, "è pronta ad aiutare: all'inizio con la disponibilità della nostra Protezione civile, ora anche con materiale, tende, medicinali".

Sul posto intanto sono al lavoro ong e volontari (anche francesi), non appartenenti a entità statali. Come l'italiano Roe (Raggruppamento operativo emergenze), che con un team di 4 persone ha raggiunto Adassil, uno dei villaggi di fango e sassi nella provincia di Chichaoua, a sud di Marrakech, raso al suolo dal terremoto, per poi spostarsi a Imindounit. "Abbiamo raggiunto località dove non sono arrivati i soccorsi, ci sono ancora morti sotto le macerie e gente che tenta da sola di tirarli fuori. Quando ci hanno visti si sono gettati sulle nostre macchine - ha raccontato il presidente Cicchetti Marchegiani -. Qui le persone sono prive di qualsiasi assistenza e non era arrivato nessuno".

È un'ondata di solidarietà straordinaria quella che travolge il Marocco, in queste ore dopo il terribile sisma che ha devastato soprattutto la provincia di Al Haouz. Ci sono almeno 165 tra villaggi e piccoli agglomerati che hanno bisogno di aiuti e la mobilitazione dalle città è imponente. Ormai 18 strade tra nazionali, provinciali e regionali sono state riaperte alla circolazione: si tratta delle vie di collegamento tra le località sinistrate sul massiccio dell'Atlante e il resto del Paese che consentiranno ai soccorritori di raggiungere anche le zone più impervie. A Marrakech intanto la medina riprende colore. È il terzo giorno di lutto nazionale e molti negozi sono ancora chiusi, ma la gente torna tra i vicoli del centro storico, ormai quasi completamente sgombri dalle macerie. "Ne approfitto per fare l'inventario - dice Mohammed che vende souvenir nel quartiere Mellah -. Domani riapro come sempre. Sono addolorato per la tragedia, ma mi sento più sicuro, mi è passata la paura". Sidi Souleiman, l'anziano che in questo quartiere della medina è il 'signore dei gatti', ha la casa aperta, la facciata è crollata, la sola della via, e i vicini hanno fatto a gara per trovargli una sistemazione di fortuna. Da qui raggiungere la piazza non è più uno slalom tra le macerie, i piccoli escavatori hanno trasferito i detriti nello spiazzo che prima era un parcheggio, appena fuori le mura. In piazza Jama el Fnaa torna il profumo delle arance appena spremute e torna nel tardo pomeriggio il rumore di ferri che anticipa i banchetti dei ristoratori. Fumo, suoni e colori: riecco l'ombelico di Marrakech. I luoghi più noti ai turisti, il quartiere riad Larouss e la via dei negozi di lusso, dar el Basha, sono percorribili di nuovo anche dalle motociclette, che sfrecciano tra i passanti. Laarbi che vende caftani non lontano da Bad Laksour è aperto. "Allamdulillah (Ringraziando Dio), la mia famiglia sta bene - dice - e sono qui al mio posto come ogni giorno della mia vita". Laarbi è l'uomo che tra l'altro ha contribuito ad arricchire la collezione di abiti tradizionali marocchini di Marta Marzotto. Dal suo piccolo negozio sono passati attori di Hollywood e star del cinema internazionale. "Bei tempi - sorride, davanti alle foto che lo ritraggono con i clienti famosi - ma non lamentiamoci, torneranno tutti a trovarci". La scuola coranica Ben Youssef, restaurata da poco, accoglie visitatori, gli altri musei della città apriranno le porte ai turisti dopo i sopralluoghi della sovrintendenza. In città nuova, dove non si sono registrati danni, a parte piccole lesioni nella chiesa cattolica del quartiere Hivernage, si organizzano le collette di vestiti e cibi, che da oggi in poi sarà più facile portare agli sfollati sui monti dell'Atlante.

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