Un Natale di guerra, un Natale di sangue. I combattimenti contro Hamas a Gaza non si sono fermati e i bombardamenti israeliani hanno continuato a colpire pesantemente la Striscia. Tra i più duri c'è stato quello sul campo profughi di Al-Maghazi, nel centro della Striscia, dove secondo il ministero della Sanità retto da Hamas sono morte circa 70 persone. L’agenzia di stampa americana Associated Press, citando i registri del vicino ospedale di Al-Aqsa, ha fatto salire il bilancio delle vittime a 106. Cifre impossibili da verificare in modo indipendente. L’Oms ha riportato testimonianze «strazianti» raccolte dalle sue équipe nell’ospedale dove sono stati ricoverati i feriti del raid. «Il team dell’Oms ha ascoltato le storie strazianti del personale medico e delle vittime sulle sofferenze inflitte dalle esplosioni», ha scritto su X il capo dell’organizzazione Tedros Adhanom Ghebreyesus, secondo cui «quest’ultimo attacco contro una comunità di Gaza mostra chiaramente perché è necessario un cessate il fuoco immediato». Sull'intera vicenda l’esercito israeliano ha annunciato di aver aperto «un’indagine», senza per ora fornire altre indicazioni. La Mezzaluna Rossa ha poi annunciato che sono stati colpiti da Israele i piani superiori della sua sede a Khan Yunis, nel sud di Gaza, e che ci sono «alcune vittime fra gli sfollati che si trovavano al suo interno». Proprio attorno ai campi profughi - dove Israele denuncia la presenza di roccaforti della fazione islamica - l’Idf sta sviluppando la maggior pressione militare, che da giorni si è estesa anche nella parte meridionale dell’enclave palestinese. A questo proposito l’esercito ha sottolineato che esiste «una Gaza di sopra» ma soprattutto «una Gaza di sotto», riferendosi all’estesa rete di tunnel in larga parte, secondo gli analisti, ancora da esplorare. Le speranze di una possibile tregua e di un nuovo scambio di ostaggi (sono circa 130 quelli ancora detenuti a Gaza) al momento appaiono quasi nulle. La mediazione egiziana che prevedeva un piano a lungo termine per riportare la calma a Gaza e costruirne il futuro è stata respinta da Hamas e dalla Jihad islamica. Proprio di questo è tornato a parlare, per la prima volta dal 7 ottobre, il leader della fazione islamica nella Striscia Yahya Sinwar, a cui Israele dà la caccia da tempo. Hamas, ha detto, sta affrontando una «battaglia feroce e «senza precedenti» contro lo Stato ebraico, ma non si sottometterà mai alle «condizioni dell’occupazione». Parole alle quali ha replicato Benyamin Netanyahu, indicando «tre requisiti preliminari per una pace con i palestinesi a Gaza». Il primo, ha elencato il premier israeliano, è la sconfitta di Hamas; il secondo è la completa smilitarizzazione della Striscia; il terzo è la fine «dell’istigazione da parte dell’Autorità nazionale palestinese» nei confronti di Israele. «L'aspettativa» che l’Anp governi la Striscia, ha ammonito ancora Netanyahu rivolgendosi evidentemente anche all’alleato americano, «è un sogno" irrealizzabile. Fatto sta che il conflitto appare sempre più destinato a durare e i morti a Gaza - secondo Hamas che non distingue tra civili uccisi e miliziani - sfiorano ormai le 21.000 persone. Il capo di stato maggiore dell’esercito Herzi Halevi non ha lasciato spazio alle illusioni: «La guerra - ha avvertito - andrà avanti ancora per molti mesi perché ha obiettivi necessari e non facili da raggiungere, e si svolge in un territorio complesso. Dobbiamo fare in modo che i risultati ottenuti possano essere mantenuti per lungo tempo». Israele in sostanza non vuole permettere il ritorno alla situazione precedente al 7 ottobre, non solo al confine con Gaza. Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha ricordato che il Paese è stato attaccato da 7 parti: Gaza, Libano, Siria, Cisgiordania, Iraq, Yemen ed Iran. «Abbiamo reagito contro sei di quei fronti», ha aggiunto, senza specificare quale sia tra questi il settimo ancora da affrontare. Il portavoce militare in serata ha annunciato che Israele ha sventato un attacco aereo degli Houthi abbattendo un «velivolo ostile» diretto verso Eilat dallo Yemen. Mentre dall’Iran e dal Libano degli Hezbollah ci si aspetta tra l’altro una reazione dopo l’uccisione, attribuita allo Stato ebraico, di un alto esponente dei Pasdaran a Damasco.