«Cambiamenti radicali che sono necessari» per «essere all’altezza del mondo di oggi e di domani» che «ha colto di sorpresa» l’Unione europea con «altre regioni che non rispettano più le regole» e vorrebbero l’Ue «permanentemente dipendente da loro». L’ex presidente della Bce ed ex premier italiano, Mario Draghi, approfitta della Conferenza di alto livello sul pilastro europeo dei diritti sociali, a Le Hulpe fuori Bruxelles, per dare qualche anticipazione del rapporto sulla Competitività che sta redigendo per la Commissione europea e che presenterà al Consiglio europeo dopo le elezioni di giugno.
Per Draghi manca un 'industrial deal' che possa rispondere in particolare alle sfide poste da Cina e Stati Uniti. La prima «mira ad agguantare e internalizzare tutte le parti della catena di approvvigionamento di tecnologie verdi e avanzate e sta garantendo l’accesso alle risorse necessarie». Con una «rapida espansione dell’offerta che sta portando a un significativo eccesso di capacità in molteplici settori e minacciando di indebolire le nostre industrie». Gli Stati Uniti, da parte loro, «stanno utilizzando una politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiere nazionali di alto valore all’interno dei propri confini - compresa quella delle aziende europee - mentre utilizzano il protezionismo per escludere i concorrenti e dispiegano il proprio potere geopolitico per riorientare e proteggere catene di approvvigionamento.
Il quadro europeo tracciato da Draghi è allarmante. «Ci manca una strategia su come tenere il passo in una corsa sempre più spietata per la leadership nelle nuove tecnologie. Oggi investiamo meno in tecnologie digitali e avanzate rispetto a Stati Uniti e Cina, anche per la difesa, e abbiamo solo quattro attori tecnologici europei globali tra i primi 50 a livello mondiale. Manca una strategia su come proteggere le nostre industrie tradizionali da un terreno di gioco globale ineguale causato da asimmetrie nelle normative, nei sussidi e nelle politiche commerciali. Un esempio calzante è rappresentato dalle industrie ad alta intensità energetica», ha spiegato.
«In altre regioni, queste industrie non solo devono far fronte a costi energetici più bassi, ma devono anche far fronte a un minore onere normativo e, in alcuni casi, ricevono massicci sussidi che minacciano direttamente la capacità delle aziende europee di competere. Senza azioni politiche strategicamente progettate e coordinate, è logico che alcune delle nostre industrie ridurranno la capacità produttiva o si trasferiranno al di fuori dell’Ue», ha avvertito l’ex numero della Bce.
«Il secondo filone riguarda la fornitura di beni pubblici. Laddove ci sono investimenti da cui tutti beneficiamo, ma che nessun Paese può portare a termine da solo, abbiamo validi motivi per agire insieme, altrimenti non forniremo risultati adeguati rispetto alle nostre esigenze: non forniremo risultati soddisfacenti in termini di clima, ad esempio nella difesa, e anche in altri settori».
Infine, le risorse. «Una volta identificati questi beni pubblici, dobbiamo anche darci i mezzi per finanziarli. Il settore pubblico ha un ruolo importante da svolgere e ho già parlato di come possiamo utilizzare meglio la capacità di prestito congiunta dell’Ue, soprattutto in settori come quello della difesa. Ma la maggior parte del gap di investimenti dovrà essere coperto da investimenti privati. L’Ue dispone di risparmi privati molto elevati, ma sono per lo più incanalati nei depositi bancari e non finiscono per finanziare la crescita come potrebbero in un mercato dei capitali più ampio. Questo è il motivo per cui il progresso dell’Unione dei mercati dei capitali è una parte indispensabile della strategia complessiva per la competitività».
Per Draghi «non possiamo permetterci il lusso di ritardare le risposte a tutte queste importanti domande fino alla prossima modifica del Trattato. Per garantire la coerenza tra i diversi strumenti politici, dovremmo essere in grado di sviluppare ora un nuovo strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche. E se dovessimo scoprire che ciò non è fattibile, in casi specifici, dovremmo essere pronti a considerare di procedere con un sottoinsieme di Stati membri. Ad esempio, una cooperazione rafforzata sotto forma di un 28esimo regime potrebbe essere una via da seguire per l’Unione dei mercati capitali per mobilitare gli investimenti. Ma di norma, credo che la coesione politica della nostra Unione richieda che agiamo insieme - possibilmente sempre. E dobbiamo essere consapevoli che la stessa coesione politica è oggi minacciata dai cambiamenti nel resto del mondo. Ripristinare la nostra competitività non è qualcosa che possiamo raggiungere da soli, o solo battendoci a vicenda. Ci impone di agire come Unione europea in un modo mai fatto prima. I nostri rivali ci stanno precedendo perchè possono agire come un unico Paese con un’unica strategia e allineare dietro di essa tutti gli strumenti e le politiche necessarie. Se vogliamo eguagliarli, avremo bisogno di un rinnovato partenariato tra gli Stati membri, una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che fecero i Padri fondatori 70 anni fa con la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio».
«E ci manca una strategia per garantire di avere le risorse e gli input di cui abbiamo bisogno per realizzare le nostre ambizioni senza aumentare le nostre dipendenze. Abbiamo giustamente un’agenda climatica ambiziosa in Europa e obiettivi ambiziosi per i veicoli elettrici. Ma in un mondo in cui i nostri rivali controllano molte delle risorse di cui abbiamo bisogno, tale agenda deve essere combinata con un piano per proteggere la nostra catena di approvvigionamento, dai minerali critici alle batterie fino alle infrastrutture di ricarica».
Le ragioni tracciate da Draghi indicano in Europa rimasta ferma e non al passo dei tempi cambiati. «La nostra risposta è stata limitata perchè la nostra organizzazione, il processo decisionale e i finanziamenti sono progettati per il mondo di ieri: pre-Covid, pre-Ucraina, pre-conflagrazione in Medio Oriente, prima del ritorno della rivalità tra grandi potenze.
Ma abbiamo bisogno di un’Ue adatta al mondo di oggi e di domani. E quindi quello che propongo nella relazione che la presidente della Commissione mi ha chiesto di preparare è un cambiamento radicale, perchè è ciò di cui abbiamo bisogno».
In definitiva, «dovremo realizzare una trasformazione in tutta l’economia europea. Dobbiamo poter contare su sistemi energetici decarbonizzati e indipendenti; un sistema di difesa integrato e adeguato basato sull'Ue; manifattura nazionale nei settori più innovativi e in rapida crescita; e una posizione di leadership nell’innovazione tecnologica e digitale vicina alla nostra base produttiva».
Nel suo rapporto, Draghi identifica dieci macrosettori dell’economia europea su cui intervenire con riforme e strumenti specifici per ciascuno. «Tuttavia, nella nostra analisi emergono tre filoni comuni per gli interventi politici», evidenzia. E sono: scalabilità, fornitura beni pubblici e fornitura delle risorse.
«Nel settore della difesa, ad esempio, la mancanza di scala sta ostacolando lo sviluppo della capacità industriale europea, un problema riconosciuto nella recente Strategia europea per l’industria della difesa». Un altro esempio fornito è quello telecomunicazioni. Un altro esempio in cui non stiamo sfruttando la scala è quello delle telecomunicazioni.
«Abbiamo un mercato di circa 450 milioni di consumatori nell’Ue, ma gli investimenti pro capite sono la metà di quelli degli Stati Uniti e siamo in ritardo nella diffusione del 5G e della fibra. Uno dei motivi di questo divario è che in Europa abbiamo 34 gruppi di reti mobili - e questa è una stima prudente, in realtà ne abbiamo molti di più - che spesso operano su scala nazionale, contro tre negli Stati Uniti e quattro in Cina. Per produrre maggiori investimenti, dobbiamo razionalizzare e armonizzare ulteriormente le normative sulle telecomunicazioni tra gli Stati membri e sostenere, non ostacolare, il consolidamento»
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