La rabbia di Joe Biden contro la campagna orchestrata per rimuoverlo dalla corsa alla Casa Bianca cresce con il passare delle ore. Relegato nella sua casa al mare in Delaware e scaricato dagli alleati, il presidente è sempre più amareggiato con coloro che, almeno una volta, riteneva amici e compagni della sua vita politica. Consapevole che la fuga di notizie non è altro che un’azione coordinata per aumentare la pressione affinché si ritiri, Biden è irritato soprattutto da Barack Obama e Nancy Pelosi.
Il presidente infatti ritiene l’ex speaker della Camera la grande istigatrice della campagna in atto nei suoi confronti e vede il suo ex capo come il burattinaio dietro le quinte. Una rabbia che cova da anni e che ora è esplosa: Obama, Pelosi e il leader del Senato Chuck Schumer furono coloro che nel 2016 gli consigliarono di non candidarsi e gli preferirono Hillary Clinton. Loro - è l’idea che lo ossessiona da anni, secondo alcune fonti - sono quelli che hanno consegnato il Paese a Donald Trump. «Hanno sbagliato nel 2016 e sbagliano anche ora», ripete con i suoi collaboratori più stretti, con i quali nota il silenzio assordante degli ultimi giorni di Obama. A essere frustrata è comunque l’intera famiglia Biden, che vede come un tradimento quello che il partito democratico sta facendo al presidente, sul quale la pressione per un ritiro sta diventando insostenibile. Le defezioni aumentano di giorno in giorno: sono più di 35 i membri democratici del Congresso che hanno chiesto pubblicamente un passo indietro di Biden, mentre continuano i presidi di manifestanti davanti alla Casa Bianca che esigono il suo ritiro. Il presidente però resiste e guarda alla Georgia e al Texas come prossime tappe della sua campagna elettorale la prossima settimana, non appena superato il Covid.
Kamala Harris continua a difenderlo e cerca di rassicurare i donatori democratici, sempre più preoccupati. La vicepresidente si trova nella posizione forse più difficile, quella di mostrare - come sta facendo - lealtà assoluta al suo capo, ma allo stesso tempo prepararsi alla possibilità di raccoglierne il testimone. Harris è la favorita a prendere il posto di Biden nel caso in dui decidesse di fare un passo indietro, anche se alcuni nel partito capitanati da Pelosi premono per una mini-primaria. Mentre il dibattito prosegue il tempo per Biden e i democratici stringe. Secondo indiscrezioni, se il presidente non deciderà di lasciare entro il fine settimana da lunedì la pressione aumenterà ulteriormente con un elevato numero di deputati e senatori pronti a chiederne il ritiro. Biden invece non intenderebbe muoversi almeno fino a mercoledì prossimo, ovvero fino alla fine della visita negli Stati Uniti del premier israeliano Benyamin Netanyahu, in arrivo lunedì, al quale non vuole dare soddisfazione visti i loro rapporti tesi su Gaza. Alle tensioni democratiche si contrappone la quiete del partito repubblicano, che ha dato grande prova di unità alla convention che ha incoronato Donald Trump e il suo vice J.D. Vance, attesi alla loro prima uscita pubblica insieme in Michigan, uno degli Stati chiave per la conquista della Casa Bianca. Proprio Vance è entrato a gamba tesa sul caso Biden cavalcando la tesi che i repubblicani aleggiano da giorni. "Tutti coloro che chiedono a Joe Biden di non correre senza chiedergli di dimettersi dalla presidenza sono impegnati in un assurdo livello di cinismo. Se non si può correre, non si può neanche servire» la presidenza, ha scritto su X chiedendo che Biden lasci la Casa Bianca. La campagna di Trump affila intanto le armi contro Harris pronta a sferrare attacchi senza precedenti. Lo staff dell’ex presidente infatti ritiene Kamala Harris un rischio ben maggiore per la vittoria rispetto a Biden, nonostante la spinta significativa ricevuta da Trump nei sondaggi dopo il tentato assassinio, che lo ha incoronato - seconda la sua base - come un martire graziato da quel Dio pronto a portarlo Casa Bianca.
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