Mercoledì 04 Dicembre 2024

Usa 2024: dall'Iran alla Russia, l'ombra degli hacker sul voto tra fake e sabotaggi. Ecco perchè non si saprà subito chi ha vinto e cos'è una "decision desk"

(COMBO) This combination of pictures created on July 22, 2024 shows former US President and 2024 Republican presidential candidate Donald Trump accepting his party's nomination on the last day of the 2024 Republican National Convention at the Fiserv Forum in Milwaukee, Wisconsin, on July 18, 2024 and US Vice President Kamala Harris attending an event honoring National Collegiate Athletic Association (NCAA) championship teams from the 2023-2024 season, on the South Lawn of the White House in Washington, DC on July 22, 2024. Democrats rapidly coalesced around Vice President Kamala Harris on July 22, 2024 as she raced to secure the party's nomination to take on Donald Trump in November in the wake of President Joe Biden's sensational exit. (Photo by Nick Oxford and Brendan SMIALOWSKI / AFP)

Quattro anni fa hacker di diversi Paesi «ostili» avevano alimentato polemiche sui conteggi delle schede, le ratifiche del voto nei vari stati e su presunti brogli. «Quest’anno - secondo il Pentagono - in parte perchè hanno studiato le lezioni del 2020, Russia, Iran e Cina appaiono meglio preparati a sfruttare opportunità simili durante la transizione post-elettorale». Agenti di Russia, Iran e Cina sono al lavoro per diffondere disinformazione e fake news sulle elezioni americane. Tra le operazioni già intercettate, le fonti dell’intelligence citano le voci diffuse da profili controllati dalla Russia secondo cui ci saranno frodi elettorali compiute da immigrati. Nelle scorse settimane sono stati emessi mandati di cattura nei confronti di russi legati all’emittente di Stato RT, Russia Today, accusati di aver finanziato la diffusione di notizie false su Harris, attraverso influencer di destra. Ma ci sono altre entità nel mirino degli investigatori. Il dipartimento di Stato Usa ha stanziato una ricompensa fino a 10 milioni di dollari per informazioni sull'identità di dipendenti di Rybar, un sito di news russo fondato da Evghenij Prigozhin, lo scomparso leader dei mercenari del Gruppo Wagner, accusato di condurre campagne sui social con falsi profili. Tra le «fake news» messe in rete dal Cremlino, figura il video di un uomo che si identifica come «Matthew Metro», in cui sostiene di essere stato uno studente di Walz in Minnesota e lo accusa di abusi. La clip è stata vista da milioni di persone su X, la piattaforma social media di Elon Musk, che si è schierato con Trump e ha dato spazio a tutti gli account cospirazionisti e suprematisti bianchi. Trump non è solo il beneficiario degli attacchi hacker, ma anche un bersaglio. Secondo un blog di Microsoft, un gruppo di pirati informatici iraniani starebbe monitorando i siti web legati alle elezioni americane. I ricercatori sostengono che ci siano «preparativi con l’obiettivo di influire direttamente sulle operazioni elettorali». Gli hackers - chiamati da Microsoft con il nome di Cotton Sandstorm - sarebbero legati alla Guardia rivoluzionaria islamica dell’Iran. A maggio avrebbero penetrato un sito di informazione americane per capirne il grado di vulnerabilità. L’Iran era stata accusata nelle settimane scorse di aver hackerato la email della campagna di Trump, e di aver cercato di contattare quella di Harris, per sondare la disponibilità a passare informazioni riservate. Lo staff della vicepresidente non ha mai risposto alla email, e ha denunciato la cosa all’Intelligence Usa. Adesso c'è questa nuova accusa, a cui Teheran ha risposto con durezza. Il portavoce della missione iraniana alle Nazioni Unite ha definito le accuse «infondate e totalmente inammissibili». «L'Iran - ha aggiunto - non ha alcun motivo e intenzione di interferire con le elezioni in Usa». Quattro anni fa, però, lo stesso gruppo di hacker Cotton Sandstorm, presentandosi come la milizia di destra 'Proud Boys', aveva inviato migliaia di email agli abitanti della Florida, in cui accusavano il sistema elettorale Usa di essere corrotto. L’obiettivo, disse allora l’intelligence americana, era diffondere confusione e dubbi. Se dopo il 5 novembre il vincitore dovesse essere Donald Trump, gli analisti prevedono che la prima visita ufficiale negli Stati Uniti con il nuovo presidente sarà quella del presidente russo Vladimir Putin. Se, invece, il tycoon dovesse perdere, i russi potrebbero scatenare un’ondata di disinformazione per rilanciare le accuse di brogli e portare migliaia di persone di nuovo in piazza, quattro anni dopo le elezioni del 2020. L’intelligence americana si sta preparando al secondo scenario, convinta che la Russia non se ne starà ferma in caso di vittoria di Kamala Harris. Secondo il Washington Post, agenti del Cremlino hanno già realizzato un video che accusa il candidato vice di Kamala, il governatore del Minnesota Tim Walz, di aver commesso abusi sessuali quando era insegnante e coach della squadra di football del liceo. Sui social i trumpiani hanno rilanciato l’accusa, pubblicando commenti violenti nei confronti del candidato Democratico. Secondo il quotidiano della capitale, le interferenze russe puntano a «incitare la violenza e screditare la democrazia come sistema politico, chiunque vinca le elezioni». Dopo il voto, secondo le fonti citate dal Post, la Russia potrebbe «diffondere minacce nei confronti di funzionari elettorali, amplificare proteste e incoraggiare le proteste a diventare violente». Gli analisti dell’intelligence Usa indicano come particolarmente pericolosa la fase tra il voto del 5 novembre e l’inaugurazione della nuova presidenza il 20 gennaio 2025.

Usa 2024: perchè non si saprà subito chi ha vinto

L’esito delle presidenziali americane di novembre è quanto mai incerto e sono molte le ragioni per cui non bisogna aspettarsi una proclamazione rapida del vincitore. Gli Stati Uniti non hanno un sistema di conteggio centralizzato dei voti elettorali come in Italia, dove il Ministero dell’Interno riceve i risultati e poi li comunica. Negli Usa le elezioni sono gestite a livello statale se non addirittura a livello di contea. I voti dei vari seggi vengono contati e passati a una commissione elettorale statale che poi li sigilla e li passa al Congresso, dove in dicembre Senato e Camera riuniti li aprono, li ricontano e li certificano. Poi a gennaio le due Camere in seduta congiunta certificano l’esito alla presenza del Vicepresidente. E’ una procedura che richiede mesi, quindi chi dirà la notte delle elezioni chi ha vinto le presidenziali? Per decenni l’onere e l’onore sono stati dell’Associated Press, alla quale negli anni si sono unite altre 'decision desk' - come vengono chiamate - dalla CNN alla Fox, dalla CBS alla NBC, fino alla ABC. Fox News è considerata uno dei più affidabili perchè ha una sua decision desk che è disgiunta dalla gestione pro-Trump dell’emittente. Bisogna comunque tenere a mente che si tratta di una dichiarazione, non di una certificazione. Cosa dobbiamo aspettarci dalla prossima notte elettorale? Bisogna innanzitutto considerare che alle 23 ora di New York, quando in Italia sono le 5 del mattino del giorno dopo, avranno chiuso tutti i seggi. O almeno dovrebbero, perchè chi è già in fila ha diritto di votare anche se il seggio chiude. Potrebbe così succedere che in un seggio che avrebbe dovuto chiudere alle 20, alle 22 si stia ancora votando. Se ci fosse la vittoria a valanga di uno dei due candidati, si potrebbe conoscere il risultato già durante la notte. Ma nessuno si aspetta una vittoria a valanga nè per Trump nè per Harris, quindi uno scenario come quello del 2012, quando la conferma di Obama alla Casa Bianca fu annunciata già alle 23,48 è improbabile ed è più verosimile quello del 2000, quando nella sfida Bush-Gore il risultato si seppe a dicembre, solo quando la Corte Suprema si espresse al termine di una interminabile battaglia a colpi di ricorsi. In quell'occasione fu un pugno di voti in Florida a decidere: nello Stato si stavano ricontando i voti e c'era un vantaggio di soli 547 voti di Bush su Gore. A dicembre la Corte Suprema decise che bisognava smettere di ricontare e sancì la vittoria di Bush. Dal 2020 il metodo elettorale negli Stati Uniti è cambiato e la maggioranza degli elettori oramai preferisce votare per corrispondenza. Nel 2020 c'era la pandemia e l’idea di mettersi in fila in un luogo affollato al chiuso per votare di persona non era gradevole per nessuno. Così il 70% degli elettori preferì votare per corrispondenza. Successivamente il dato è sceso al 50 per cento, ma sembra che questa tendenza sia ormai consolidata. Con quale esito per il risultato? In Stati come la Pennsylvania, il Wisconsin, la Georgia, il Michigan è permesso contare i voti per corrispondenza solo dopo che si è finito di contare i voti espressi di persona. Ecco perchè nelle elezioni del 2020 si verificò quello che fu chiamato «il miraggio rosso» che fece credere che Trump avesse vinto con una grande maggioranza: gli elettori repubblicani avevano preferito votare di persona e quelli democratici per posta così a mano a mano che venivano contati i voti per corrispondenza, Biden accorciava la distanza fino a raggiungere e superare l’avversario. E’ possibile che questo succeda anche in queste elezioni perchè la Pennsylvania, che porta in dote 19 voti elettorali ed è considerato uno Stato fondamentale perchè un candidato possa vincere, ha 9 milioni di probabili elettori e almeno il 40% di questi ha scelto di votare per corrispondenza. Il che vuol dire che 3 milioni e 600 mila voti dovranno essere contati dopo che si è finito di contare gli altri. E’ chiaro che il risultato della Pennsylvania arriverà tardi, di sicuro non entro le 11 di sera quando chiuderanno tutti i seggi. Lo stesso varrà per gli altri stati chiave come Wisconsin, Michigan e Georgia. A complicare ulteriormente le cose in questa tornata elettorale c'è il fatto che dal 2020 a oggi alcuni stati in bilico, in particolare la Georgia, l’Arizona e il Michigan, hanno riempito le commissioni elettorali - quelle in cui convergono i voti dei vari seggi - di esponenti MAGA, cioè di trumpiani. Le commissioni elettorali hanno il diritto di ordinare l’interruzione della conta dei voti se da uno dei seggi un qualsiasi osservatore riferisce che è stato testimone di brogli. Con il risultato che l’esito da quel seggio non solo non viene comunicato subito, ma probabilmente nemmeno nelle ore o addirittura nei giorni successivi perchè una delle parti, che sia repubblicana o democratica, potrebbe contestare la decisione della commissione elettorale e appellarsi a un tribunale amministrativo elettorale o, se nemmeno questa decisione dovesse soddisfarlo, fare ricorso alla Corte Suprema. Ed ecco che la procedura si prolunga per settimane. Se tutto filasse liscio, se gli osservatori in Georgia, Arizona, Michigan non avessero critiche da muovere alla conta dei voti, se la Commissione elettorale non bloccasse nessuna conta di nessun seggio, se ci fosse una valanga di voti per Trump o per Harris, si potrebbe avere il risultato nella notte elettorale. Ma se uno qualsiasi di questi intoppi dovesse scattare, si andrà alle calende greche, perchè sono gli stati in bilico quelli che decideranno se veramente uno dei candidati ha la maggioranza elettorale.

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