Proteste di piazza, scontro col governatore della California e timori per l’ipotesi di usare il Pentagono per la più grande deportazione di massa della storia americana. Clima già teso all’indomani dell’elezione di Donald Trump, nonostante il tentativo di abbassare i toni da parte di Joe Biden, che mercoledì riceverà il presidente eletto nello Studio Ovale per attuare quella transizione pacifica che ha promesso.
Il tycoon ha ingaggiato il primo scontro politico con Gavin Newsom, uno dei governatori dem che preparano la «resistenza" per rendere il proprio stato «Trump-proof», ossia a prova di Trump e delle sue politiche. «Gavin Newscum (soprannome offensivo, scum significa feccia, ndr) sta cercando di uccidere la splendida California. Sta usando il termine 'Trump-proof' come un modo per fermare tutte le grandi cose che possono essere fatte per 'rendere la California di nuovo grandè, ma ho appena vinto le elezioni in modo schiacciante», ha scritto su Truth. The Donald ha denunciato la fuga dei cittadini dal Golden State per le sue «decisioni politiche folli», dal risparmio idrico agli standard sulle emissioni dei veicoli, dalla catastrofe dei senzatetto ai prezzi fuori controllo e alle leggi elettorali. Il post di Trump è arrivato un giorno dopo che Newsom ha annunciato per il 2 dicembre una sessione speciale del Parlamento dello Stato per adottare contromisure agli attacchi previsti del tycoon sui veicoli elettrici, sull'immigrazione, sui diritti riproduttivi e sugli aiuti federali per i disastri. La California è uno dei diversi stati blu che hanno annunciato mosse preventive per vaccinarsi contro le annunciate politiche di Trump, e Newsom si è già messo alla guida della 'resistenzà.
Con lui i governatori di New York Kathy Hochul, dell’Illinois JB Pritzker e del Michigan Gretchen Whitmer, tutti con ambizioni presidenziali nel 2028. Tra le politiche più temute quelle sull'immigrazione, con Trump che ha promesso di mettere fine alle città santuario dem e di lanciare la più grande deportazione di massa della storia Usa. Per attuarla, rivela il Wall Street Journal, i suoi consiglieri stanno valutando nel primo giorno di insediamento una dichiarazione di emergenza nazionale, che potrebbe consentire di utilizzare fondi della Difesa (anche per il muro al confine col Messico), strutture militari per la detenzione e aerei militari per le espulsioni.
Questo mentre dirigenti del Pentagono stanno tenendo discussioni informali su cosa fare se il futuro commander in chief dovesse dare un ordine illegale, ad esempio impiegare l’esercito contro i suoi nemici politici o per respingere i migranti al confine col Messico, dato che la legge americana generalmente vieta l’impiego delle truppe attive per scopi di ordine pubblico. Inizialmente, secondo il WSJ, ci si concentrerebbe sugli immigrati illegali che hanno ricevuto ordini definitivi di espulsione da un tribunale dell’immigrazione, circa 1,3 milioni, così come su quelli con altre condanne o accuse penali. La futura amministrazione starebbe anche valutando modi per incoraggiare gli immigrati ad andarsene volontariamente, forse rinunciando a un divieto di 10 anni per il rientro.
Una recente stima dell’American Immigration Council ha previsto che le deportazioni di massa dell’attuale numero di immigrati clandestini negli Stati Uniti (11 milioni di persone secondo una stima governativa nel 2022, 20 milioni secondo Trump) potrebbero costare 968 miliardi di dollari in più di un decennio. Recentemente tuttavia il tycoon ha detto che «non è una questione di costi» ma è il fatto che «non abbiamo scelta». Ad alimentare la tensione anche le prime proteste di piazza contro «il pericolo in arrivo», come la marcia di sabato nella Grande Mela: un preludio della grande manifestazione sul National Mall della capitale il 18 gennaio, due giorni prima dell’Inauguration Day. Il tycoon intanto lavora alla sua squadra di governo a Mar-a-Lago, incassando la sospensione del processo per l’assalto al Capitol (un presidente in carica non può essere perseguito), strappando anche lo stato in bilico del Nevada (primo candidato presidenziale repubblicano dal 2004) e vincendo il voto popolare con un numero di voti superiore a quello del 2016 e del 2020: 74.303.161 (50,6%), a scrutinio ancora da completare.
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