Continua l’avanzata in Siria dei ribelli guidati dagli islamisti di Hayat Tahrir al-Sham (Hts): dopo Aleppo, a cadere nelle loro mani è stata Hama, città strategica nel centro del Paese. I combattenti l’hanno accerchiata e, nonostante gli intensi bombardamenti aerei russi e siriani, sono entrati, costringendo l’esercito di Bashar al-Assad a ritirarsi dopo scontri per le strade. I ribelli hanno annunciato di aver preso il controllo di una prigione di Hama e di aver liberato centinaia di detenuti.
Il leader di Hts: "Una conquista senza vendetta"
I combattenti sono entrati ad Hama per «ripulire una ferita che dura in Siria da 40 anni», ha affermato il leader di Hts, Abu Mohammed al-Jolani, riferendosi alla repressione della Fratellanza Musulmana nel 1982 da parte del regime di Hafez al-Assad che portò a migliaia di morti, chiedendo che sia «una conquista senza vendetta». Secondo i dati forniti dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, finora il bilancio di otto giorni di combattimenti è di 727 morti, tra cui 111 civili. A confronto della scarsa resistenza incontrata dai ribelli all’inizio dell’offensiva, gli scontri sono stati particolarmente intensi nella zona di Hama dove Damasco ha inviato «grandi convogli militari» per fermare l’avanzata.
Reazioni internazionali: l'appello di Erdogan e Lavrov
In una telefonata con il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha sottolineato che Assad deve trovare urgentemente una «soluzione politica» al conflitto. «La Turchia si è impegnata a ridurre le tensioni, proteggere i civili e aprire un processo politico e continuerà a farlo», ha aggiunto il leader di Ankara, sottolineando che la crisi ha raggiunto una «nuova fase». Da Malta, dove è in corso la riunione dell’Osce, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha ipotizzato un incontro ministeriale sulla Siria nel formato Astana (Russia, Iran e Turchia) entro la fine della settimana.
Iraq, Libano e Siria: la guerra che coinvolge tutti
Il capo dei ribelli islamisti sunniti di Hts ha esortato il primo ministro iracheno Mohammed Shia al-Sudani a tenere il suo Paese fuori dalla guerra, dopo che un potente gruppo iracheno filo-Iran ha chiesto a Baghdad di inviare truppe a sostegno di Assad. Stessa linea è stata invocata dall’influente religioso sciita Moqtada al-Sadr, che ha sottolineato in un post su X la «necessità che il governo, il popolo, i partiti, le milizie e le forze di sicurezza irachene non si immischino nella questione siriana». Dal Libano si è fatto invece sentire Naim Qassem, il segretario generale di Hezbollah, gruppo sciita filo-Teheran, che in un discorso pubblico ha sostenuto come la crisi sia «orchestrata da Stati Uniti e Israele. Questi gruppi takfiri (infedeli, ndr) sono strumenti usati per cercare di distruggere la Siria». «Saremo al fianco» di Damasco per «fermare questa aggressione», ha assicurato.
L'appello di Guterres: "Un nuovo approccio inclusivo"
Per Guterres, «stiamo assistendo ai frutti amari del cronico fallimento collettivo dei precedenti accordi di de-escalation per produrre un autentico cessate il fuoco a livello nazionale o un serio processo politico per attuare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza», ha detto il segretario generale ai giornalisti. «Dopo 14 anni di conflitto, è giunto il momento che tutte le parti si impegnino seriamente con Geir Pedersen, il mio inviato speciale per la Siria, per tracciare finalmente un nuovo approccio inclusivo e completo per risolvere questa crisi in linea con la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza», ha aggiunto il capo del Palazzo di Vetro, lanciando l’allarme per «decine di migliaia di civili a rischio in una regione già in fiamme».
La prossima meta dei ribelli: Homs
L’avanzata dei ribelli sembra non fermarsi e dopo Hama punta ad Homs, una quarantina di km a sud, verso la quale si sono già diretti «più di 200 veicoli militari», ha riferito l’Osservatorio siriano per i diritti umani.
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