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Dazi alla Cina, Xi alza la voce ma punta a trattare con Washington

Pechino alza il fuoco di sbarramento contro i dazi del 10% decisi da Donald Trump, ma lascia la porta aperta ai colloqui diretti tra il presidente Xi Jinping e quello americano per scongiurare uno scontro dagli effetti imprevedibili. Con un’azione coordinata, i ministeri del Commercio e degli Esteri hanno condannato la mossa «arbitraria" americana sulla convinzione che «non ci siano vincitori» in una guerra commerciale, anticipando il ricorso - anche se simbolico - all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e l’adozione di «contromisure» non meglio specificate alla stretta Usa. La risposta cinese ha evitato quell'escalation immediata che aveva segnato l’aspro scontro commerciale del Dragone nel primo mandato Trump, ripetendo il linguaggio più misurato usato da quando sono emerse le ultime intenzioni di The Donadl.

Negli ultimi giorni, i media statali cinesi hanno rimarcato di vedere il 10% una cifra ancora «gestibile», a fronte del 25% di tariffe decisi all’import dal Canada - alleato Usa di lunga data - e dal Messico - la principale destinazione per l’export statunitense - che, non a caso, hanno replicato con veemenza. Pur se ampiamente previste, le misure del presidente americano sono una sfida significativa per la leadership di Xi tra lo stallo della domanda interna e il rischio di deflazione che ha reso l’economia mandarina dipendente dalle esportazioni per la crescita, fermatasi ad appena il 5% nel 2024. Il surplus commerciale ha infatti raggiunto lo scorso anno il record di quasi 1.000 miliardi di dollari, di cui oltre un terzo generato dagli Stati Uniti. Difficile stimare l’impatto dei nuovi dazi sul Dragone perché applicabili a tutti i beni importati e non solo ad alcuni settori come per il Trump I. Ubs ha ipotizzato un colpo al Pil dello 0,3-0,4%. Più foschi gli scenari di Bloomberg Economics: taglio del 40% dell’export di Pechino verso gli Usa e lo 0,9% di Pil cinese in meno.

Le esportazioni mandarine in settori chiave, tra cui l’auto, sono salite molto più rapidamente in volumi che in valore, segnalando la limatura dei margini da parte dei produttori alla disperata ricerca di quote di mercato all’estero. Per questa ragione, gli analisti credono che Pechino voglia raggiungere un accordo con Trump evitando l’incubo, in caso di escalation, del bando alle triangolazioni commerciali, come nel caso del divieto della tecnologia made in China sui veicoli connessi negli Stati Uniti deciso dall’amministrazione di Joe Biden. Pechino è più preparata di otto anni fa allo scontro con Washington: ha rafforzato i legami con i suoi alleati, ha spinto per l'autosufficienza in settori tecnologici e ha accanto fondi per sostenere un’economia vulnerabile, ma i rischi restano elevati. Alla fine, i toni più duri della reazione cinese sono stati riservati al dossier fentanyl, citato dal presidente americano per motivare i dazi contro Pechino, Ottawa e Città del Messico, responsabili a suo dire di non fermare il flusso dell’oppioide sintetico mortale negli Stati Uniti. «Il fentanyl è un problema dell’America - ha tuonato il ministero degli Esteri -. Abbiamo portato avanti un’ampia cooperazione antidroga con Washington e ha ottenuto risultati notevoli».

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