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Netanyahu vola da Trump, "Ridisegniamo il Medio Oriente". I colloqui con Hamas sulla fase 2 rinviati dopo l’incontro

A Washington per «ridisegnare» il Medio Oriente con Donald Trump. Benyamin Netanyahu è volato negli Stati Uniti - tra i pochi Paesi dove non rischia l’arresto su mandato della Corte penale internazionale - per essere ricevuto martedì dal presidente americano alla Casa Bianca come primo leader straniero dall’insediamento del tycoon. «Una testimonianza della forza dell’alleanza israelo-americana. E anche della forza della nostra amicizia personale», ha detto il premier sulla scaletta dell’aereo prima di partire. L’auspicio di Netanyahu è quello di vedere confermata la collaborazione strategica con Trump, che già durante il primo mandato si dimostrò un prezioso amico di Israele, e di ricevere quel sostegno che gli serve per scacciare definitivamente Hamas dalla Striscia di Gaza e configgere «l'asse terroristico iraniano in tutte le sue componenti». «Le decisioni che abbiamo preso nella guerra hanno già cambiato il volto del Medio Oriente», ha dichiarato ancora il premier. «Le nostre decisioni e il coraggio dei nostri soldati hanno ridisegnato la mappa. Ma credo che lavorando a stretto contatto con il presidente Trump, possiamo ridisegnarla ancora di più, e in meglio».

La visita di Netanyahu a Washington arriva mentre si attende l'avvio dei colloqui indiretti sulla fase due dell’accordo di tregua, entrato in vigore il 19 gennaio, che dovrebbe portare al rilascio di altri ostaggi israeliani (circa 20 devono ancora essere liberati in questa prima fase, sui 76 - vivi e morti - ancora a Gaza), al prolungamento del cessate il fuoco e al ritiro dell’Idf dalla Striscia. In base all’accordo i nuovi negoziati sarebbero dovuti cominciare lunedì a Doha: il premier del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, ha esortato le parti ad avviare i lavori, ma ha ammesso di non avere «dettagli chiari sull'arrivo dei negoziatori». Netanyahu, sotto pressione dall’estrema destra del suo governo che vorrebbe riprendere i combattimenti subito dopo la fase uno, avrebbe infatti rinviato la partenza per Doha del team negoziale israeliano fino al suo colloquio con Trump di martedì. Secondo Channel 12, avrebbe anche sostituito David Barnea, capo del Mossad, con il fedelissimo ministro per gli Affari strategici Ron Dermer alla guida della squadra di negoziatori. Prima di partire, il premier ha parlato con l’inviato speciale Usa per il Medio Oriente, Steve Witkoff, concordando che le discussioni sulla seconda fase inizieranno nel loro incontro a Washington, alla vigilia di quello con Trump. Witkoff sentirà poi gli altri mediatori, Qatar ed Egitto, prima di discutere ancora con Netanyahu «i passi per far avanzare i negoziati, comprese le date per la partenza delle delegazioni».

Tutto sembra dunque sospeso in attesa del vertice alla Casa Bianca. Dal canto suo, Trump - che ha avuto un ruolo nel raggiungimento dell’attuale accordo ancor prima del suo insediamento - premerà con Netanyahu per allargare gli accordi di Abramo e avviare la normalizzazione delle relazioni con l'Arabia Saudita, le cui trattative erano state sospese dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Ma questo per Riad potrà avvenire solo con la creazione di uno Stato palestinese, che Israele al momento non è intenzionato a concedere. C'è il timore inoltre, scrive Haaretz, che l’insistenza di Trump per spostare i civili di Gaza in Egitto e Giordania durante la ricostruzione della Striscia possa ostacolare i negoziati trasformandosi in un’altra carta nelle mani di Hamas. Cinque Paesi arabi - compresi Il Cairo e Amman - si sono opposti all’iniziativa. La questione sarà sicuramente affrontata dal re Abdallah, invitato l’11 febbraio nello Studio Ovale

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