
Se i dazi americani su acciaio e alluminio «verranno confermati, gli europei risponderanno, ci saranno tariffe reciproche. Perché dobbiamo proteggerci, dobbiamo difenderci. Non dobbiamo mostrarci deboli di fronte a queste misure».
Emmanuel Macron non ci sta e decide di rompere gli indugi, dicendosi praticamente pronto ad affrontare la guerra commerciale con gli Stati Uniti.
Un approccio che punta a una risposta europea molto forte, radicalmente diverso da quello di chi, dentro e fuori l’Ue, pensa di poter risolvere la tensione con gli Stati Uniti con accordi bilaterali.
Mentre Ursula von der Leyen a Delhi ha posto le basi per un trattato di libero scambio Ue-India entro l’anno, il presidente francese, in visita in Portogallo, si è ripreso prepotentemente la scena europea nel ruolo di protagonista, come nemico numero uno delle politiche della nuova amministrazione americana, spronando le prudenze di Bruxelles, secondo alcuni eccessive.
È stato lui il primo a convocare il 17 febbraio i leader dei maggiori Paesi europei per affrontare il nodo ucraino di fronte all’accelerazione di Donald Trump con la Russia.
Quindi, sempre primo tra i leader europei, lunedì si è recato alla Casa Bianca per cercare un difficile dialogo con il presidente americano.
Ed è ancora lui il primo ad annunciare che, sul tema dei dazi, l’Europa risponderà colpo su colpo al protezionismo statunitense.
Perché dal suo incontro con Trump è uscito «con pochissime speranze» che la questione possa essere risolta diversamente.
In un momento in cui le istituzioni europee sembrano ancora sotto shock dalle bordate della Casa Bianca - basti pensare che Von der Leyen è ancora in lista d’attesa per un colloquio con Trump - a tenere banco è quindi il superattivismo dell’Eliseo.
Quando si insedierà anche Friedrich Merz, riemergerà quel famoso asse franco-tedesco, che tradizionalmente, nel bene e nel male, è stato l’anima della politica e dell’economia comunitaria.
E che tanti sperano possa rilanciare l’Unione, mai così in difficoltà.
Del resto, sul tema dei dazi, anche il futuro cancelliere ha fatto la voce grossa, ricordando che il grande mercato europeo, con oltre 500 milioni di consumatori, è importante anche per le aziende americane:
«Non siamo indifesi di fronte a loro. Qui abbiamo delle regole e tutti devono rispettarle», ha osservato in un’intervista alla Faz.
I dazi non preoccupano solo il Vecchio Continente, ma scuotono anche gli equilibri geopolitici globali, non solo quelli economici.
Anche la Cina ha reagito, mettendo in guardia gli Stati Uniti sul fatto che l’ultima tornata di dazi aggiuntivi al 10% su tutto l’import "made in China", in vigore dal 4 marzo, avrà «un grave impatto sul dialogo bilaterale».
Pechino ha accusato Washington di usare «la questione del fentanyl come pretesto per imporre tariffe ed esercitare pressioni, agendo in modo arbitrario e ripagando la gentilezza con l’ingratitudine».
Questo approccio, ha aggiunto un portavoce cinese, «non risolverà i problemi americani e, anzi, si ritorcerà contro, avendo un impatto grave sul dialogo e la cooperazione tra entrambe le parti nella lotta» al narcotraffico.
Il clima di incertezza ha provocato pessime conseguenze sui mercati, con borse in rosso in Asia e Pacifico.
I listini orientali sono andati giù dopo le prime avvisaglie registrate ieri in Europa.
Tokyo ha ceduto il 2,88%, Shanghai l’1,98%, Taiwan l’1,49%, Seul il 3,39% e Sidney l’1,16%.
In controtendenza, ma restano deboli, le borse europee: Londra (+0,61%), Parigi (+0,11%), Francoforte (+0,01%).
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