
"Un giorno potenzialmente grandioso per Russia e Ucraina! Pensate alle centinaia di migliaia di vite che saranno salvate quando questo bagno di sangue senza fine, si spera, si concluderà. Sarà un mondo completamente nuovo, e molto migliore". L'ottimismo di Donald Trump, anche stavolta, è senz'altro eccessivo, e d’altronde non è la prima volta che il presidente americano si lascia andare ad auspici e speranze fin troppo favorevoli sulla fine del conflitto, ma un piccolo passo avanti, nel tentativo di fermare le ostilità, c'è stato. Alla proposta dei volenterosi europei, e nello specifico di Francia, Gran Bretagna, Germania e Polonia, che nell’incontro di ieri a Kiev assieme ai vertici ucraini hanno chiesto ufficialmente, con il sostegno degli Stati Uniti, una tregua di trenta giorni, ha risposto in maniera altrettanto chiara Vladimir Putin. Il capo del Cremlino ha glissato sullo stop ai bombardamenti per un mese ma ha rilanciato con un’altra offerta, e cioè con la ripresa del negoziato diretto con l’Ucraina a partire dal 15 maggio a Istanbul. Non è la risposta che Emmanuel Macron, Keir Starmer, Friedrich Merz e Donald Tusk si auguravano, e il dubbio che anche in questo caso lo zar voglia perdere tempo è più che lecito, ma se non altro da Mosca è arrivata una controproposta, accettata personalmente, in serata, da Volodymyr Zelensky: "Lo aspetto in Turchia", ha scritto su X riferendosi a Putin e augurandosi "un cessate il fuoco completo e duraturo, a partire da domani, per fornire le basi necessarie alla diplomazia. Non ha senso prolungare le uccisioni. E aspetterò Putin in Turchia giovedì. Personalmente. Spero che questa volta i russi non cerchino scuse". Difficile se non impossibile che sia proprio lo zar a presentarsi sul Bosforo ma non potrà esimersi, a questo punto, dall’inviare una delegazione che inizi a discutere seriamente il processo di pace.
Certo, come ha sottolineato oggi Parigi, l’apertura è solo "un primo passo" e "non sufficiente", perché "un cessate il fuoco incondizionato non è preceduto da negoziati", ma considerando l'indisponibilità della Russia, fino a non molto tempo fa, a qualunque dialogo diretto con l’Ucraina, il cambio di atteggiamento del Cremlino va guardato con un minimo di credito. Resta la perplessità, assolutamente legittima, che anche stavolta Mosca voglia semplicemente "guadagnare tempo", come ha affermato Macron dialogando con i giornalisti di ritorno da Kiev, e persino dall’entourage di Trump, nel pomeriggio, era arrivata una precisazione per nulla ambigua, con l’inviato speciale Keith Kellogg che chiedeva senza mezzi termini "prima un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni e, durante questo periodo, avviare discussioni di pace globali. Non il contrario". Ma a questo punto il "sì" di Zelensky spariglia le carta. Se sarà tutto un bluff anche Washington dovrà prenderne atto e aumentare la pressione attraverso ulteriori sanzioni e altre iniziative congiunte sempre più stringenti.
"La nostra proposta è sul tavolo e la decisione spetta ora alle autorità ucraine e ai loro curatori", aveva detto Putin con tono forte, aggiungendo che "chi vuole la pace non può fare a meno di sostenerla". "Ci impegniamo a condurre negoziati seri con l'Ucraina con lo scopo di eliminare le cause profonde del conflitto e di stabilire una pace duratura". Il punto chiave, e quello più complicato da risolvere, rimane proprio quest’ultimo, e non certo l’aspetto territoriale, considerando che, de facto più che de jure, quel 20% di aree orientali e meridionali conquistate da Mosca, in un modo o nell’altro, rimarranno in mani russe, anche se non verranno mai riconosciute come tali da Kiev. Il nodo è appunto il futuro del paese sotto attacco da tre anni e tre mesi, che secondo lo zar va il più possibile smilitarizzato o quantomeno allontanato dalle influenze occidentali, mentre Zelensky e il suo staff, proprio in questi giorni, hanno confermato la disponibilità di alcuni governi europei all’invio di truppe per vigilare su una eventuale ed auspicata tregua. Posizioni, quindi, tuttora distantissime. E lo stesso accordo su minerali e terre rare, che indirizzerà il paese sempre più verso l’orbita americana, rappresenta sicuramente un altro ostacolo per raggiungere gli obiettivi che il Cremlino si era posto all’inizio della cosiddetta operazione speciale.
Un percorso lungo e tortuoso per arrivare alla pace, ma a questo punto, visto che ci sono poche altre soluzioni, va tentata ogni strada, compresa quella che giovedì prossimo dovrebbe portare le due delegazioni verso Istanbul. Nel frattempo, comunque, proprio mentre da Mosca arrivava una cauta apertura, su Kiev e sul resto del paese continuavano a piovere bombe. Un’allerta aerea è scattata nella notte, proprio al termine della mini-tregua di tre giorni annunciata da Putin in occasione delle celebrazioni per la vittoria nella seconda guerra mondiale. Le sirene sono risuonate sia nelle aree di Zaporizhzhia, Dnipro e Sumy che in altre regioni del paese, e la contraerea si è subito rimessa in azione. Non proprio il segnale più favorevole per iniziare una trattativa che sia seria e non sia solo un modo, l'ennesimo, per guadagnare tempo e prendere in giro la controparte.
Ancora nessun commento