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Una playlist per te. Ezio Bosso è partito per restare

Ezio Bosso a Reggio il 17 maggio
Ezio Bosso a Reggio il 17 maggio

Pianista, compositore e direttore d'orchestra. Come se per lui le cose si potessero separare. Come se quell’unica, continua linea musicale della sua vita si potesse sezionare, incasellare, indagare, sospendere, addirittura interrompere.
Come se, a 29 anni, le conseguenze di un intervento al cervello fossero bastate a disinnescare i comandi della sua anima o come insinuare che, qualcuno lo avrà pensato, può darsi sia la malattia che tira, che si trascina dietro i numeri dei consensi.
Come se bastasse dire che lui ora non c'è più perché sia assolutamente vero.

L’Ezio Bosso nato a Torino nel 1971 è morto il 14 maggio di un anno fa, a 48 anni. La musica gli si è offerta quando ne aveva 4. Perché a lui? "Ne avevo più bisogno di altri".
Ezio Bosso che conosciamo è nato lì, in quell'incontro. Torino degli anni '70, “una famiglia (l’unica piemontese del quartiere) di persone che si indebitavano per i libri", di partigiani. E da lì in poi è sempre partito.

È partito lasciando. Il Conservatorio per gli Statuto, gli Statuto perché “facevo troppe note”, una grande orchestra (dalla London Symphony alla Sinfonica Siciliana) per un pezzo da solista, un debutto per un altro.

E’ partito per portare. La gente alla musica (solo negli ultimi cinque anni, i più intensi, oltre 100.000 spettatori in teatro con il suo recital per pianoforte solo, un sold out di 14.000 presenze per il suo debutto all’Arena di Verona coi Carmina Burana ad agosto 2019, numeri miraggio nel deserto di pubblico della classica). La musica alla gente (con una riflessione magistrale sullo stato della cultura di fronte al Parlamento Europeo, grazie anche a “Che Storia è la Musica”, lo speciale di Rai3 di cui Ezio Bosso è stato autore, condottiero e direttore d’orchestra, rivoluzionando la narrativa, il lessico, l’ “espressionismo” di una certa musica e di una certa tv).

È partito per credere. In un mondo intero visto attraverso 5 linee e 4 spazi. Con le sue risoluzioni, le quinte giuste, i bassi armonici, le legature d’espressione, la bacchetta magica. La bellezza. La ricerca del suono assoluto, a prescindere. Anche contro tasti sfuggenti, in quel piano e forte di appoggio, di sintesi. Un punto di valore, semplice, un prolungamento verso, un trasporto in altre tonalità. Un punto di staccato. Ma di quelli con la "corona" in testa, quei punti che sullo spartito durano quanto vuole l'esecutore. Piegando quella postura dritta e rigida del classico pianista (come del direttore, e del compositore), non ripiegando mai. Sporcando, ma in purezza. Col pianismo degli occhi che le mani non sono riuscite a prendersi. "Un essere umano, uno solo".

Si può pure partire per restare. Comporre, suonare, dirigere la morte come se fosse una cadenza d'inganno.

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