La mano sul cuore, lo sguardo in alto, la mente alla storia. Chi lo canta, chi ci prova. Quello dell’inno nazionale è un rito, il momento del ricordo quando si fa prospettiva, del passato che suona come futuro, del popolo che parla al popolo. E’ colonna sonora di vittorie, richiamo all’unità. E, al di là di quello che suscita alla sua stessa gente, racconta di racconti, si porta dietro curiosità e primati, porta avanti una certa, propria idea di patria.
Come quello francese, che è probabilmente l’inno repubblicano per eccellenza, ma lo scrisse un militare dell’esercito monarchico. Claude Joseph Rouget de Lisle, esortato dal sindaco di Strasburgo, che era anche suo amico, compose “Il Canto di guerra per l’armata del Reno”. La canzone venne adottata da alcuni volontari provenienti da Marsiglia accorsi a difendere Parigi, e così divenne “La Marsigliese”. E’ tra i più celebri al mondo e, magari, se fosse eseguito con meno fretta e furia e più solennità...
C’è poi quello olandese, “Wilhelmus”. Le parole sono quelle pronunciate dal fondatore stesso dei Paesi Bassi, il leader politico Guglielmo d’Orange. Quando fu scritto l’inno, gli olandesi combattevano per l’indipendenza dalla Spagna. Eppure, nei primi versi, Guglielmo sottolinea che l’ha “sempre onorato il re di Spagna”. Un verso cantato ancora oggi e questo fa sì che quello olandese sia l’unico inno al mondo in cui viene celebrato un monarca straniero.
L’inno russo, tra i più travagliati, tra i più suggestivi. Almeno musicalmente. Aleksandr Vasil’evič Aleksandrov lo creò su richiesta di Stalin, che volle sostituire l’Internazionale socialista, rea di essere stata composta da un francese. Affonda nelle radici nell’ex Unione Sovietica, mentre il testo è stato aggiunto in un secondo momento, composto per la terza volta nel 2000 da Sergej Vladimirovič Michalkov (autore pure degli inni sovietici del 1944 e 1977) e “pubblicato” il 30 dicembre dello stesso anno, durante una cerimonia al Cremlino.
L’inno d’Israele s’intitola La Speranza. Eppure è uno degli inni nazionali più tristi al mondo. C’è dentro la tensione verso la terra promessa e niente di militaresco o esplicitamente patriottico. Imber, l’autore, s’ispirò ad una poesia sionista e dallo stesso sionismo fu criticato. Anche per la dissolutezza della sua vita, tant’è che morì di alcolismo e povertà “esule” a New York.
L’inno nazionale del Sudafrica: 5 strofe, ciascuna in una lingua diversa e il cambio di tonalità, condiviso con l’inno di Mameli. Fonde due canzoni storiche per il Paese. Tradotte, “Dio benedica l’Africa” e “La chiamata del Sudafrica”. La prima, che divenne presto una specie di inno di liberazione pan-africano adottata da altri paesi indipendenti (Zambia, Namibia e Zimbabwe), è ancora oggi l’inno della Tanzania. La seconda passò per le radio prima che, nel 1938, diventasse inno, affiancato da “God Save the Queen” (allora il Sudafrica era una colonia britannica). Non era però ben visto dai sudafricani neri, che lo associavano al regime dell’apartheid per via di una strofa dedicata agli afrikaner. Nel 1994 il nuovo governo decise di adottarle entrambe, in una versione ibrida, “sponsorizzata” dalla nazionale di rugby.
L’inno nazionale bosniaco è uno dei quattro inni nazionali senza parole, insieme a quelli di Kosovo, Spagna e San Marino. Fu scritto da Dušan Šestić, un professore di violino serbo bosniaco che voleva guadagnarci. Alex Marshall, il giornalista che ha scritto un intero libro sugli inni nazionali, ha raccontato che Šestić partecipò al concorso indetto dal governo bosniaco per pagare il conto dell’hotel in cui voleva alloggiare nella sua prima vacanza dalla fine della guerra in Bosnia. Dopo che si venne a sapere che l’inno vincitore del concorso era stato scritto da un serbo bosniaco, la vita di Šestić divenne improvvisamente molto complicata: «I bosgnacchi si chiedevano, “Perché diavolo il nostro inno nazionale è scritto da un serbo?”, e i croati si chiedevano la stessa cosa», ha raccontato Marshall. Tra l’altro, qualche anno dopo si scoprì che la melodia dell’inno era quasi identica a quella che accompagna i titoli di testa di Animal House, una commedia studentesca del 1978 di John Landis con John Belushi. E' conosciuto come “Intermezzo”, il suo nome ufficiale è “Inno nazionale della Bosnia ed Erzegovina”. Ps. la figlia di Šestić, Marija, rappresentò il Paese all’Eurovision del 2007.
Giappone, Il regno dell’imperatore. È l’inno con il testo più antico del mondo e anche uno dei più brevi attualmente in uso. Il testo riprende una “waca”, una particolare forma poetica giapponese molto antica. Molti giapponesi non sanno nemmeno che significhi, visto che è scritto in giapponese antico che a scuola spesso non si studia.
Gran Bretagna - God Save the Queen/King. Il più antico inno nazionale del mondo, tra quelli ancora in uso. Per molti anni venne adottato, oltre che in Inghilterra, in Prussia, Danimarca, Svezia e Russia. E’ uno degli inni più conosciuti al mondo, anche perché è stato a lungo l’inno nazionale di tutti i paesi del Commonwealth. Ma non è mai stato investito d’ufficialità. Le parole cambiano in base al sesso del monarca: quando la regina Elisabetta cederà il trono a Carlo o William, si tornerà a cantare God save the King.
Germania - Das Lied der Deutschen. Dal punto di vista musicale l’inno nazionale tedesco è considerato uno dei più belli. Ma il testo ha suscitato una certa polemica. Nella sua versione nazista, il brano inneggia così: “La Germania sopra a tutto”. Verso criticato anche dal filosofo Friedrich Nietzsche, che lo definì “lo slogan più idiota al mondo”. Una curiosità: la musica dell'inno tedesco fu composta da un austriaco, Franz Joseph Haydn nel 1797.
Ancora più bella è la melodia dell’inno bulgaro, Mila Rodino, (Cara Patria). Un tratto balcaneggiante, al profumo di Brahms, sostenuto da parole di vita e immagini di bellezza, dall’amore verso il proprio Paese, nel ricordo di chi ha lottato per proteggerlo.
Iraq
È uno dei più giovani al mondo, per adozione: è stato scelto come inno nazionale poco dopo la caduta di Saddam, nel 2003, proprio per sostituire quello usato negli anni della dittatura. L’inno – che si intitola Mawtini, “La mia patria” – è stato per anni anche l’inno ufficioso della Palestina.
Italia – Il canto degli italiani. E qua si va sul “personale”. Parole di Mameli, musica di Novaro. Una marcia di vaga ispirazione verdiana (e proprio Verdi, col suo “Va’, pensiero”, per qualche tempo gli ha conteso il ruolo), parole a cui il tempo ha portato via significato.
Interpretato da grandi come Pavarotti, talvolta vilipeso da errori di metrica e stonature varie. E’ ufficiale dal 2017. Ma da sempre, dall’introduzione al gran finale, quando lo senti ti senti tra i fratelli d’Italia che l’Italia chiamò…”Sì!”.
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