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Ciao Raffa, italiana universale signora della tv. Oggi ci sentiamo tutti orfani

La grande bellezza di quel suo remix di generazioni: quindicenni e ottantenni assieme

Icona italiana. Devono essere state le prime parole (indissolubili, verissime) venute in mente a chi ha dovuto dare un titolo alla sua morte inaspettata e inimmaginabile.
Non era giovane? Ma soprattutto, non era immortale? Le altre, di parole, quelle di reazione, di rigetto. I concerti di concetti senza retorica che hanno passeggiato a vortice nella testa di chi l'ha letto. Tipo ritornelli, tormentoni di un lutto nazionale incastrato nell'incredulità.
Come sentirsi dire che la forza della natura possa interrompersi così, per caso. «È morta Raffaella Carrà»: un rumore che ha tirato giù un pezzo di mondo, senza che ci si sia potuti spostare un po' più in là.

Raffaella Carrà l'icona disallineata. Di una musicalità corporea, fisica e chimica, carnale. Tanto libera, quantomai liberatoria. Dall'amen della censura, quella del coro che gioca alla tavola dell'incasellamento nei secoli dei secoli. Dalla cesura, che l'avrebbe tagliata fuori dai giochi una voce come la sua, semplicemente, straordinariamente "normale". Pre-potente. Acuta nelle idee, più che nelle note.
Raffaella Carrà l'italiana universale. Come quelle serate ballate a modo suo, a squarciarsi gola e gambe coi suoi gesti biondi, il suo caschetto di pezzi d'oro e platino, tra immagini che hanno spettinato il buoncostume abbottonato fino al collo, mostrando al mondo i denti del sorriso, l'ombelico della sensualità. No, non è questione di eccesso, semmai di accesso. E no, la volgarità non c'entra nulla coi suoi purissimi scandali.

La grande bellezza di quel suo remix di generazioni sì.
Raffaella Carrà è il momento in cui quindicenni e ottantenni insieme capiscono che la serata sta per finire mentre la vogliono credere eterna. E si aggrappano alla pista come fosse lì tutta la vita che resta. Lei entra così in scena, crescendo, come Rossini nei suoi finali.
Come una straniera dall'aria strana alla guida di ogni classifica, ma fuori da ogni classificazione. Come se una forza invisibile ti schiodasse l'anima dalla sua sedia, come una possessione, che tocca tutto, che mette le mani su ginocchia e fianchi e petto. E poi sugli occhi, tanto si sente quello che non si vede.
Col microfono a tracolla, sessanta milioni di dischi venduti ovunque, diapason di accordi e metronomo del tempo.
Raffaella Carrà con la pittura nel nome e l'architettura di ponti tra generi diversi e terre lontane, l'inno del "pop sessuale" consacrato dal Guardian e l'arte di un cuore vagabondo che di regole non ne ha. Capogiro e capoverso, caposaldo e capostipite.
Raffaella Carrà non ha avuto figli, allora perché ci sentiamo tutti orfani?

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