Un disco, un libro di racconti e poesie e un tour: un unico grande progetto sotto lo stesso titolo per il ritorno di Nino D’Angelo, uno dei più amati esponenti della musica napoletana. “Il Poeta che non sa parlare”, infatti, dà il nome sia al volume in uscita domani per Baldini+Castoldi (sarà presentato al Salone del Libro di Torino) che al nuovo album di inediti, disponibile da venerdì per Di.Elle.O e Believe. Dieci le tracce del disco, per trattare problematiche d’interesse sociale della nostra contemporaneità, con sonorità world pop e la partecipazione di artisti di spicco come Toni Servillo, Rocco Hunt, James Senese, Livio Cori e Andrea Sannino. Al disco seguirà una tournée, che farà anche tappa a Messina l’11 marzo prossimo al Palacultura. Per commentare il titolo piuttosto insolito dell’album e del libro l’artista va indietro nel tempo: «Quando ero ragazzino – ci racconta – una mia insegnante mi disse quella frase, perché con le mie parole arrivavo al cuore anche quando mi esprimevo male. Ed è una cosa che mi corrisponde, perché non ho un bel rapporto con l’italiano, anche se alla fine conta di più saper fare breccia nel cuore della gente, e io credo di riuscirci». Durante il lockdown ha concepito il progetto: «Nel momento più complesso della pandemia ho riflettuto su tante cose e quindi ho avuto l’idea di realizzare, una volta finito il lockdown, un insieme artistico che comprendesse disco e libro, per narrare una vita con gli “aggiornamenti” di un pensiero più maturo». Nell’album si spazia dall’autobiografia di “Pane e canzoni” alla politica nel singolo di lancio “Voglio parlà sulo d’ammore”, fino all’attacco al razzismo di “Chillo è comm’ ‘a te”. C’è anche la dedica all’amico Diego Armando Maradona in “Campiò”. Come è nata l’esigenza di mettere in musica argomenti così diversi? «Dopo i 50 anni il rapporto con l’esistenza cambia ogni giorno. Oggi sono un nonno che riflette di più sul mondo, e questi pensieri diventano materia per le mie canzoni. Non invento più niente, ma cerco le storie da raccontare per strada, tra la gente. Situazioni come la grande delusione della politica o il razzismo, un autore di canzoni le sente molto; per cui è stato il disco più complesso che abbia mai realizzato, perché scrivere della vita tutte le mattine con la morte accanto, per la pandemia, non è stato facile. A questo si è aggiunta la scomparsa di Maradona, un amico e un campione, non solo per noi napoletani, al quale ho dedicato un saluto in musica». Il libro è ricco di aneddoti tratti da versi delle tue canzoni che fanno da collante alle esperienze di vita. Cosa pensi trarrà il lettore del racconto della tua vita, che è una storia di resilienza? «È una vita raccontata con toni da chiacchierata informale, ove ricordo tanti aneddoti, ma parlo anche del pregiudizio nei miei confronti per aver fatto canzoni leggere. Il lettore potrebbe imparare tanto, come ho imparato io dalla strada, nascendo nel quartiere di San Pietro a Patierno, dove si era rassegnati a vivere nella povertà e dove sono tornato dopo 40 anni per visitare il murales che mi ha dedicato Jorit. Arrivare da un quartiere del genere e passare attraverso l’esperienza del sentirsi diverso rispetto a chi ha un benessere economico maggiore ti segna molto e ti fa crescere». Sei stato un pioniere del genere oggi definito neomelodico e poi hai intrapreso un percorso musicale diverso. Come è cambiata nel tempo la musica napoletana? «Penso che con la morte di Pino Daniele la canzone napoletana verace si sia molto impoverita ed abbia subito un’involuzione. Un tempo scrivevano i testi Libero Bovio. E.A. Mario e Salvatore Di Giacomo; oggi di autori ce ne sono pochi, tra cui Gragnaniello. Quindi sono tutti neomelodici che cantano dagli anni 90 quasi sempre lo stesso pezzo. Vedo quindi poco impegno nel rinnovare la musica napoletana...».