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I suoi “sorcini” e la loro «irreversibile Zerofollia». Renato Zero fa doppio sold out a Messina

Due concerti-“scrigno” di 50 anni di brani con cui l’artista romano ha cantato e difeso vita e libertà

Parole e musica. Un binomio inscindibile che il 6 novembre scorso ha reso il primo dei due concerti messinesi di Renato Zero (l’ultimo ieri sera) un autentico inno alla speranza. Ieri come oggi, il grande cantautore romano parla al cuore; ma, oggi più di ieri, la parola ha la meglio sul look, sull’abito simbolo che si fa discorso diretto, schietto, a tratti graffiante. Una voce limpida e sicura per denunciare qualsiasi forma di prevaricazione e discriminazione, con la libertà di essere se stessi come valore fondante.

Due giorni di pure emozioni al PalaRescifina con le penultime date di “Autoritratto – I concerti evento” (Tattica), tour dell’ultimo album e grande successo in tutta Italia. Un’ovazione di affetto e un altissimo numero di presenze replicato anche a Messina, con il sold out e “sorcini” di ogni età da Sicilia e Calabria (alcuni da Pozzallo, Catania, Sciacca, Catanzaro e Bagnara Calabra) “in sapore di Zero”, con addosso le classiche bandane e tanti palloncini dorati da sventolare, soprattutto quando l’artista scende tra la folla sulle note di “Amico” (1978), brano sempreverde come tutto il suo repertorio.

Ma ciò che più seduce è il dialogo serrato col pubblico, tra parole e musica, in cui il linguaggio si fa sempre più familiare e intimo, con pezzi noti e meno noti a far da supporto a riflessioni sui vari aspetti dell’esistenza.

Si apre con “Vivo”, brano del 1977, per esortare ad andare avanti “nonostante tutto”, oltre i dubbi e le incertezze, i compromessi e la disillusione, per passare a “Il Jolly” (1981). Ma è su “Manichini”, sempre del ’77, che l’artista inizia il suo excursus nell’oggi, con una pacatezza che rende più toccante la denuncia: «La staticità è l’arma peggiore che l’uomo possa mettere in campo di questi tempi», ha detto, e poi, sui contenuti “premonitori” di alcuni suoi pezzi del passato, parla di manipolazione di anime, avidità, fame di potere, crudeltà mentale, descrivendo il vivere come un teatrino in cui noi siamo le marionette: «Vorremmo tanto sganciarci da questi fili che ci tengono prigionieri nella nostra libertà, nel nostro voler ricercare un’identità definitiva al di fuori dei patteggiamenti, dei compromessi ai quali ci chiedono di partecipare».

Dal canzoniere degli anni ’80 “Voyeur” (1989), esortazione all’abbattimento delle barriere tra gli uomini, per ritrovare quella vicinanza che il Covid ha mandato in frantumi: «Raccontiamo agli altri le nostre debolezze e la nostra felicità, abbattiamo le barriere e ritroviamo la piazza!». Spazio anche ai gioielli dei dischi “L’imperfetto” (1994) e “Amore dopo amore” (1998). Dal primo la poesia dalla parte dei più deboli di “Nei giardini che nessuno sa” e l’inno alla giovinezza “Bella gioventù”, su cui esorta i giovani all’impegno, per «trasportare questo pianeta in una zona franca dove non c’è guerra, dissapore, rabbia».

E a proposito di abbattimento di muri, l’artista individua nei giovani i veri promotori di libertà, contro ogni pregiudizio sulla distanza, anche come collocazione geografica («In certe zone di questo Paese, si parla di Nord, Centro e Sud, di un’Italia che è ancora confusamente Italia! C’è ancora qualcuno che quando lascia Sicilia e Sardegna dice “Vado nel continente”»).

Da “Amore dopo amore” i pezzi cult “Cercami”, “Figaro” e “Dimmi chi dorme accanto a me”. Dal repertorio degli anni 2000 le hit “Via dei martiri” (2000) e “Ancora qui” (2009). Tra i brani degli ultimi anni, due pezzi scritti col cantautore ragusano Lorenzo Vizzini: “L’amore sublime” (2020) e “Cuori liberi” (2023). Incredibile medley di “Madame”, “Mi vendo”, “Triangolo” e “Baratto”, con Zero scatenato dj sul ledwall e, sul palco, il coro a otto voci Wacciuwari.

Immancabili i ricordi di due amici e collaboratori: il Maestro Renato Serio, al fianco dell’artista per quarant’anni, scomparso il 4 novembre scorso – e a cui il pubblico ha tributato una standing ovation - e la corista Claudia Arvati, scomparsa nel 2022.

Chiusura in bellezza con i brani manifesto “Il cielo” (1977) e “I migliori anni della nostra vita” (1995), per ricordare che la nostalgia del passato non è rimpianto, ma cura, viatico per un futuro migliore, in cui i “manichini” possano mostrare l’anima che hanno dentro.

Hanno accompagnato Renato Zero, oltre ai Wacciuwari, l’Orchestra Piemme Project, preregistrata e aggiunta in modalità ledwall, e la band formata da Danilo Madonia (direzione musicale, tastiere e pianoforte), Lorenzo Poli (basso), Lele Melotti (batteria), Bruno Giordana (tastiere e sax), Rosario Jermano (percussioni) e Andrea Maddalone e Fabrizio Leo alle chitarre.

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