La violenza, fisica o psicologica, fa parte del vissuto dei nostri giovani, ragazzi e ragazze, con atti di sopraffazione, o vera e propria aggressione verbale o corporea, e una impressionante casistica dilatata a dismisura dalle derive digitali. Emerge dai report diffusi in questi giorni da autorevoli fonti in occasioni legate a ricorrenze - come il Safer Internet Day, la giornata contro il bullismo e cyberbullismo e, da ultimo, quel S. Valentino così speciale, soprattutto tra i più giovani - che inducono il grande pubblico a puntare su questi temi riflettori che, però, per chi è “addetto ai lavori” sono sempre accesi.
Violenza tra adolescenti: i dati di Save The Children
Più di un adolescente su due (il 52%) in coppia dichiara di aver subìto, almeno una volta, comportamenti lesivi o violenti, come essere chiamato con insistenza al telefono per sapere dove ci si trovava (34%) o essere oggetto di un linguaggio violento, con grida e insulti (29%); essere ricattati per ottenere qualcosa che non si voleva fare (23%); ricevere con insistenza la richiesta di foto intime (20%), essere spaventato da atteggiamenti violenti (schiaffi, pugni, spinte, lancio di oggetti, 19%); condividere foto intime con altri senza consenso (15%).
Sono alcuni dei dati emersi dal sondaggio inedito sulla violenza on-life nelle relazioni intime tra adolescenti in Italia, realizzato da Save the Children in collaborazione con Ipsos e pubblicato nel rapporto «Le ragazze stanno bene? Indagine sulla violenza di genere onlife in adolescenza». Alla vigilia di San Valentino, l'associazione ha lanciato anche la campagna social #chiamalaviolenza, volta a promuovere una maggiore consapevolezza sulla vera natura di comportamenti e atteggiamenti troppo spesso sottovalutati, scambiati per amore, o altro.
Allarmano anche le risposte in merito alla sfera sessuale, esprimendo atteggiamenti che poi trovano corrispondenza in quanto le cronache frequentemente ci consegnano: per il 43% degli adolescenti “se davvero una ragazza non vuole avere un rapporto sessuale, il modo di sottrarsi lo può trovare”, mentre il 29% ritiene che “le ragazze possano contribuire a provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire o di comportarsi”. Il 30% degli adolescenti sostiene che la gelosia è un segno di amore. Per il 21% condividere la password dei social e dei dispositivi con il partner è una prova d’amore. Il 17% delle ragazze e dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni pensa possa succedere che in una relazione intima scappi uno schiaffo ogni tanto.
Il report contiene inoltre i risultati di un’indagine qualitativa, realizzata da Save the Children grazie alla collaborazione con il Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità e con il supporto delle Unità di Servizio Sociale per Minorenni e gli Istituti Penali per Minorenni, che la dice lunga su quanto ancora siano radicati gli stereotipi di genere: quasi il 69% degli adolescenti pensa che le ragazze siano più predisposte a piangere dei ragazzi, il 64% che siano maggiormente in grado di esprimere le proprie emozioni, il 50% di prendersi cura in modo più attento delle persone. Dal report emerge che nel caso in cui si dovesse subire una violenza fisica da parte del/la proprio/a partner la prima persona con cui se ne parlerebbe è la mamma, poi il papà e le forze dell’ordine. A seguire gli amici e le amiche, le sorelle e fratelli, il personale scolastico e i numeri di aiuto.
Il tema delle relazioni sul palco di Sanremo
I temi del rispetto nelle relazioni e della lotta alla violenza di genere sono stati spesso rilanciati anche sul palco del festival di Sanremo. In particolare, una delle performance è stata molto toccante, affidata al cast di Mare Fuori che partendo da alcune parole evocative, ha proposto il testo dello scrittore Matteo Bussola. Le parole sono state: Ascolta; Accogli; Accetta; Impara; Verità; Accanto; No; Insieme.
Centorrino: l’ambiente digitale tra potenziamento e sostituzione
«Dopo oltre vent’anni di studi e ricerche, appare ormai evidente come il valore delle relazioni sociali on-line passi soprattutto dalla differenza che intercorre tra il concetto di potenziamento e quello di sostituzione» afferma il prof. Marco Centorrino, docente di Sociologia della Comunicazione dell'Università di Messina . «Pur partendo dal presupposto che la dimensione digitale è ormai parte integrante delle nostre vite – e per questo l’interazione in Rete è divenuta irrinunciabile – bisogna sempre ricordare, infatti, come siano le pratiche di utilizzo a caratterizzare i mezzi che sfruttiamo. Strumenti quali le chat, i forum e i social network hanno moltiplicato le nostre reti di relazioni. Prima dell’avvento di Internet, un adolescente aveva un numero di contatti sicuramente ristretto rispetto a quello di un ragazzo di oggi. Il punto chiave, però, è rappresentato dalla “qualità” delle interazioni che portiamo avanti con questi contatti. Un tema che tira in ballo proprio la differenza tra potenziamento e sostituzione. I mezzi che utilizziamo ci permettono poi di ampliare la nostra socialità anche in una dimensione fisica (faccia a faccia) oppure ci inducono a vivere tale socialità esclusivamente in spazi virtuali?» .
«Indubbiamente la sfera digitale costituisce una facilitazione. Prendiamo ad esempio le relazioni sentimentali, vista anche la vicinanza della festa di S. Valentino. Confessare il proprio amore in chat a un’altra persona è, per certi versi, più semplice, perché si abbassa il livello della censura e dell’autocontrollo. Tutto diviene, in sostanza, meno impegnativo e siamo agevolati nell’esprimere le emozioni provate. Allo stesso tempo, però, questo non deve costituire un punto di fine della relazione, bensì d’inizio. Altrimenti, ecco appunto – ancora una volta – il distinguo tra potenziamento e sostituzione, rinunciamo a un altro momento altrettanto fondamentale: la compresenza e, quindi, la possibilità di una comunicazione che sfrutti appieno tutti quei messaggi che il nostro corpo può trasmettere solo in un contesto fisico. Una cosa, insomma, è visualizzare, un’altra è guardarsi negli occhi».
Filippello: ritrovare l'empatia per le altre persone
«I sentimenti di amore, amicizia e affiliazione, comunicati attraverso uno schermo e non tramite un gioco di sguardi, possono ostacolare lo sviluppo della capacità di comprendere la “mente” dell’altro, cioè di riconoscere le emozioni altrui, i pensieri, le intenzioni, i desideri» evidenzia la prof.ssa Pina Filippello, ordinaria di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione di Unime, autrice di numerose ricerche su tematiche relative al ruolo della comprensione delle emozioni e delle intenzioni sul problem solving sociale e dell’influenza delle variabili emotivo-motivazionali sul successo scolastico. È referente di Ateneo del progetto di orientamento “ConsapevolMente” finalizzato a favorire la transizione dalla scuola agli studi superiori, attraverso esperienze di didattica orientativa e all’esplorazione delle proprie caratteristiche e delle life skills.
«Nell’ambito di una relazione - sottolinea Filippello - comprendere cosa l’altro prova costituisce il presupposto fondamentale all’empatia, intesa come abilità di provare le stesse emozioni: se tu sei felice allora io sarò felice, se tu sei triste o spaventato allora io sarò triste e spaventato». «Si può imparare ad essere empatici? Qualcuno ce lo può insegnare? Alla prima domanda, la risposta potrebbe essere sicuramente un sì. Rispondere alla seconda è più complesso perché è molto difficile predisporre programmi finalizzati allo sviluppo dell’empatia. Come insegnare a sentirsi infelice quando si procura infelicità? L’empatia, più naturalmente, può essere appresa nell’ambito delle continue e dinamiche interazioni che si realizzano in famiglia, a scuola e nel gruppo dei coetanei e, più in generale, nell’ambito della società in cui viviamo. I modelli di comportamento a cui si è esposti plasmano le nostre condotte, anche se non apprendiamo tutto ciò che osserviamo, ma filtriamo in base all’aderenza alle nostre caratteristiche personali, ciò che merita di essere imitato e ciò che merita di essere ignorato, altrimenti si assisterebbe una vera e propria omologazione al contesto». «Nell’ambiente di vita si può imparare a sopportare un rifiuto, a fare e a ricevere una critica, ma si può imparare anche la sottomissione o la sopraffazione. Chi si sottomette o chi prevarica è qualcuno a cui mancano delle abilità e, in particolar modo, nel secondo caso, la capacità di tollerare la frustrazione. È una persona forte o è un debole? Un debole può diventare forte? Certamente! La scuola, in quanto agenzia di socializzazione, potrebbe predisporre, ovviamente con l’aiuto di esperti, programmi finalizzati ad insegnare la comprensione degli stati emotivi propri e altrui, la regolazione delle emozioni, le tecniche di comunicazione efficace e di soluzione dei problemi sociali e, infine, sviluppare un sistema di valori che possa consentire affermare, come fece Neytiri in Avatar: “Io ti vedo”».
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