Allarme revenge porn: quasi un terzo dei provvedimenti totali adottati dal Garante della Privacy è volto a tutelare le vittime
I dati contenuti nell'intervento della vicepresidente Ginevra Cerrina Feroni al convegno promosso dall'Autorità sul tema "Volenza nella rete-. Violenza della rete", nella Giornata internazionale della Privacy, ripreso sull'inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud nell'ambito della rubrica settimanale Noi e la Privacy, dedicata alla tutela dei dati personali e all'uso responsabile del web. Una riflessione sulla violenza oggi «non può prescindere dall’analisi di due sue caratteristiche essenziali: la componente digitale come fattore ineludibile e costitutivo, o anche solo esponenziale e amplificativo, e quella di genere, che rende le donne vittime elettive di ogni forma di abuso, vessazione, prevaricazione. La componente più significativa (non tanto e non solo in termini quantitativi quanto, soprattutto, qualitativi) della violenza tipica del nostro presente è, infatti, violenza maschile sulle donne, spesso agìta offline ed esibita, amplificata, perpetuata online». A ribadirlo la vicepresidente del Garante per la Protezione dei dati Personali Ginevra Cerrina Feroni, nella sua relazione intitolata "Corpi violati" esposta durante il convegno tenutosi a Roma, e promosso dall'Autorità, in occasione della Giornata europea della Privacy, sul tema "Violenza della rete. Violenza nella rete”. La rete terreno d'elezione per nuove forme di sessismo E proprio la stesse rete, «determinante nel promuovere movimenti per la parità di genere anche in contesti, come quelli islamici, meno permeabili alle istanze progressiste (e in cui il velo imposto costituisce un’altra forma violenta di violazione del corpo e dell’immagine femminili), si sta rivelando troppo spesso il terreno d’elezione di nuove forme di sessismo» ha proseguito Cerrina Feroni, ricordando che «una donna su 4 – secondo una recente ricerca Eurispes - ha, almeno una volta, ricevuto apprezzamenti fisici imbarazzanti sul web; al 24,4% sono state rivolte esplicite avances sessuali e il 18, 6% ha subito body shaming». «Non solo. La rete si è resa, soprattutto recentemente, potente veicolo di offesa, ricatto sessuale e di amplificazione degli abusi subiti: tutti elementi, questi, che contribuiscono, in varia misura, ad alimentare quella rape culture che contraddice decenni di battaglie per l’emancipazione femminile, con lo strumento insidioso dell’image-based sexual abuse. Da un lato, infatti, si è progressivamente esteso il fenomeno del revenge porn, in cui l’arma del ricatto (nella maggior parte dei casi maschile) è il possesso di scatti intimi di cui si minaccia la diffusione. Non si tratta di episodi marginali, se si considera che i provvedimenti a tutela delle vittime di revenge porn rappresentano il 29% del totale dei provvedimenti adottati dal Garante. E non si tratta, neppure, di episodi irrilevanti per la vittima, dal momento che possono condurre al suicidio». Una volta in rete i contenuti sono sottratti al controllo «E questo perché - ha ammonito la vicepresidente - una volta immesso in rete, un contenuto è irrimediabilmente sottratto a ogni forma di controllo e alla portata di chiunque in qualunque parte del mondo, soggetto alla catena infinita e incontrollabile delle condivisioni e all’effetto amplificatore dei commenti. Una minaccia perennemente incombente da cui la vittima non riesce a liberarsi. La storia di Tiziana Cantone - come quella di molte altre vittime di revenge porn o di cyberbullismo - ci racconta di tentativi, vani, di trasferirsi altrove e di cambiare identità, al carissimo prezzo di cancellare la propria. Ma la potenza della rete è tale da non lasciare scampo e da riproporre continuamente quel fermo immagine. La vittima di un contenuto lesivo si vede così privata di ogni possibilità di difesa autonoma se non, appunto, prevenendone la diffusione con l’intervento del Garante o della magistratura. Tutele essenziali e spesso risolutive ma che dimostrano, ancora una volta, la gravità di un fenomeno in cui la vittima è drammaticamente esposta alle conseguenze di un uso violento della rete". La violenza agìta e quella filmata che "imprigiona" "Dall’altro lato, il grado di aberrazione raggiunto, con particolare intensità, la scorsa estate, con le videoriprese, poi diffuse su chat e social, di violenze sessuali perpetrate da ragazzi, in branco, su ragazze, sole, interroga le nostre coscienze con l’urgenza delle più cruciali questioni. Quando alla violenza agìta si aggiunge, in un crescendo di atrocità, quella filmata, quando lo spettatore diviene addirittura regista, preferendo all’inerzia, pur essa colpevole, una nuova e diversa forma di abuso, è evidente che si sta toccando un nervo drammaticamente scoperto della nostra società, con cui dobbiamo fare i conti. Perché la violenza non solo assistita, tollerata, non impedita ma addirittura ripresa, filmata e poi condivisa come l'immagine di un trofeo, rende la vittima due volte tale: abusata off-line e inchiodata, potenzialmente per sempre, a quell’immagine di sopraffazione, come non potesse più essere altro che la vittima del suo aggressore. Da tempi immemori (da quando iniziò ad essere utilizzato come atto ostile verso il nemico) lo stupro esprime – come ricorda Dacia Mariani – il massimo oltraggio realizzato, non senza fini di rivendicazione identitaria, con la violazione del luogo sacro della vita: il corpo femminile. Oggi, tuttavia, a questa violenza dalle radici arcaiche, a quel tentativo di annientamento e reificazione della donna che riemerge carsicamente, si sovrappone con - se possibile - ulteriore, inspiegabile ferocia, la sua perpetuazione resa possibile dal video che, dal telefono di uno, si propaga senza limite a quello di ciascuno. Va allora compreso e, soprattutto, fatto comprendere come la violenza digitale agisca sulla vittima con una forza da cui difficilmente essa potrà mai liberarsi: imprigionata per sempre in quello scatto, racchiusa in quel video, la sua identità, la sua dignità, la sua biografia ne recherà sempre la ferita. Anche per questo, la violenza digitale in tutte le sue molteplici manifestazioni ci racconta sempre più del “disagio della civiltà” di oggi, che si muove tra le implicazioni distorsive della dimensione ibrida in cui si dipana la nostra vita. Dissolta nella virtualità della rete, la corporeità si reincarna di nuovo nella dimensione dei metaversi, dove lo spazio digitale non è soltanto visualizzato, ma vissuto, e l’abuso, virtuale, percepito come reale. Gli episodi di aggressioni sessuali nei metaversi consumate sugli avatar e raccontate dalle donne come se fossero accadute offline, ancora una volta dimostrano come la rete, anche nella sua nuova frontiera “incarnata” del metaverso, sia divenuto un luogo privilegiato per la violazione dei corpi femminili. L’ambizione che spero possa muovere, in futuro, tutti coloro che hanno preso parte alla Giornata, è promuovere una riflessione comune su come restituire la rete alla sua originaria promessa e liberarla di tutto ciò che la tradisce, rendendola uno spazio di libertà e promozione dei diritti e della dignità, mai della loro violazione».