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Israele non lascia il Libano, resta in 5 roccaforti

Sulla collina di Hamames, nel sud del Libano, a ridosso del confine, da giorni i soldati israeliani si fortificano: è una delle cinque località strategiche che Tel Aviv non lascerà allo scadere del termine per il ritiro dal Paese, previsto domani, nella fragile tregua siglata a novembre.

A Beirut, il presidente Joseph Aoun assicura che la risposta sarà diplomatica, perché il Libano «non si può permettere un nuovo conflitto», ma si attende ancora la risposta di Hezbollah.

A 500 giorni dal massacro del 7 ottobre, intanto, le famiglie degli ostaggi israeliani sono tornate a manifestare, da Gerusalemme a Tel Aviv, con lo slogan «portiamoli fuori dall’inferno», mentre si preparano a ricevere giovedì i corpi di quattro rapiti, nell’ambito della prima fase dell’accordo per la tregua, che prevede il rilascio di 33 ostaggi, vivi o morti.

Israele avrebbe poi chiesto ad Hamas il rilascio di sei rapiti vivi sabato prossimo, invece dei tre previsti dall’intesa.

Sul futuro di Gaza, il premier Benyamin Netanyahu ha ribadito che «né Hamas né l’Autorità nazionale palestinese saranno presenti» nella Striscia.

Sul tavolo, invece, «c'è il piano del presidente Trump per creare una Gaza diversa», ha detto, riferendosi alla proposta di sfollare i palestinesi.

Idea che piace anche al ministro Bezalel Smotrich, convinto che Israele debba annettere il nord della Striscia e altre aree strategiche nell’enclave: «Hamas deve lasciare Gaza e consegnare le armi», ha esortato.

Il piano Trump è stato al centro dell’incontro a Riad tra il segretario di Stato americano Marco Rubio e il principe saudita Mohammed bin Salman, segno che a Washington sono decisi ad andare avanti.

Nel sud del Libano, intanto, alla vigilia della scadenza per il ritiro fissata alle 10 del mattino, i militari israeliani hanno fortificato cinque postazioni lungo il confine, al di là della linea di demarcazione Onu.

Il perimetro difensivo va da Labbouneh, a due passi dalla costa, fino appunto alla collina di Hamames, un’altura di circa 600 metri sul lato orientale del confine.

I soldati, hanno riferito gli abitanti dei villaggi libanesi limitrofi, hanno costruito barriere e scavato fossati con i bulldozer.

«Dobbiamo rimanere in questi luoghi, per il momento, per difendere i cittadini israeliani», ha detto il portavoce militare, Nadav Shoshani, aggiungendo che la misura è «in linea con l’accordo di cessate il fuoco».

Israele ha inoltre rafforzato le sue difese al confine, con diverse nuove postazioni, più telecamere, radar e sensori, e le forze in campo «sono state triplicate dal 7 ottobre».

E continua a colpire: i caccia israeliani hanno ucciso a Sidone in un bombardamento mirato Muhammad Shaheen, capo operativo di Hamas in Libano.

Di fronte al ritiro parziale israeliano, Beirut ha annunciato che «procederà per via diplomatica, perché il Paese non può più tollerare un nuovo conflitto», ha detto il presidente libanese Aoun.

«L'opzione guerra non funziona», ha aggiunto, assicurando che l’esercito libanese «è pronto a essere schierato nei villaggi che gli israeliani lasceranno».

Il governo del premier Nawaf Salam, in carica dall’8 febbraio, si impegna a liberare tutto il territorio libanese e sottolinea il «monopolio statale delle armi» nel testo della dichiarazione che sarà sottoposto al voto di fiducia parlamentare.

Si attende ora la risposta di Hezbollah: gli animi sono esacerbati, come dimostrato dall’attacco a un convoglio Unifil nei giorni scorsi sulla strada dell’aeroporto, complice lo stop ai voli dall’Iran, ora prolungato sine die dalle autorità.

In un villaggio del sud, altri «facinorosi», come li ha bollati Hezbollah, hanno sfregiato un monumento dedicato ad Aoun, scrivendo sulla pietra il nome di Hassan Nasrallah.

Il 23 febbraio sono previsti a Beirut i funerali solenni del defunto leader, ucciso in un bombardamento mirato israeliano il 27 settembre scorso.

Nella capitale libanese, sono attesi a migliaia, tra loro anche una delegazione di alto livello iraniana.

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