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C'è l'accordo tra Lega e M5s, approvato il decreto fiscale. Conte: "No a scudi all'estero e impunibilità"

Palazzo Chigi

Arriva l’accordo sul decreto fiscale. Il governo ricompone lo scontro nato sulla prima stesura del testo e concorda su una nuova versione 'light' del condono. Si asseconda così il pressing del Movimento 5 Stelle. Ma la Lega porta a casa che presto il condono si allargherà alle cartelle di Equitalia. Ma non per tutti. Solo per chi potrà dimostrare di non aver pagato per oggettive difficoltà economiche. Si potrà così, sintetizza il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, mantenere fede a una delle «promesse» del contratto gialloverde che rischiava di rimanere sulla carta.

Il governo insomma non vacilla ma va avanti, è il messaggio che mandano Conte, Salvini e Di Maio. E non farà passi indietro nemmeno sulla manovra, nonostante i rilievi di Bruxelles e il downgrade di Moody's. «Non ci facciamo impaurire dalle agenzie di rating che in passato hanno clamorosamente dimostrato di fallire i loro giudizi come falliranno questa volta», assicura il leader della Lega.

Mentre il capo M5S smentisce «a nome del governo» che ci sia mai stata l’intenzione, circolata in queste ore, di correggere il target del deficit, fissato al 2,4%. E’ questa la linea che passa. Per ora nessuna concessione per ammorbidire il giudizio. Poi si parte con il confronto e si vedrà. Entrambi i vicepremier garantiscono che non c'è «nessuna volontà» di uscire dalla Ue o dall’euro, ma di sedersi al tavolo con Bruxelles per spiegare le ragioni che hanno portato l’Italia a deviare dalle regole europee, regole che comunque andranno cambiate.

La manovra, dice con tono conciliante il capo del governo, è studiata con stime che «non sono gonfiate» e accompagnata «dal programma di riforme strutturali più importante della storia d’Italia». Riforme che potranno
accelerare il ritmo di crescita anche più di quanto indicato nel programma di bilancio.  L’onere della scrittura della lettera a Bruxelles spetterà al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che sarebbe stato favorevole a dare già qualche concessione e che non ha commentato ufficialmente il downgrade. Anzi si è tenuto per tutta la giornata lontana dai riflettori: un’assenza che si è notata.

Con la missiva, ha chiarito Conte, andrà semplicemente spiegato meglio che non si tratta di una «manovra avventata» e che un grande ruolo avranno «gli investimenti supportati dalle riforme». Comunque, non ci sarà nessuna patrimoniale, come implicitamente suggerito proprio da Moody's. Per la risposta alla lettera c'è tempo comunque fino a lunedì a mezzogiorno. Nel frattempo era urgente chiudere l’incidente sul decreto fiscale. Alla fine c'è, assicura Conte, un accordo politico «pieno», arrivato al termine di una lunga serie di affondi reciproci tra i due vicepremier continuata fino a stamattina: «Stimo Conte ma chiederò una copia» del testo, aveva esordito Salvini, cui aveva prontamente risposto Di Maio assicurando che di copie gliene avrebbero date anche «due».

Conte prima del secondo Consiglio dei ministri sul decreto collegato alla manovra, deve prendere da parte i due vicepremier in un vertice ristretto, da cui i tre escono dopo due ore con la 'pace fatta'. Che implica lo stralcio dello scudo penale contenuto nella bozza 'incriminata' e anche della possibilità di sanare redditi e immobili all’estero. Ma anche, appunto, la garanzia, con il passaggio in Parlamento, di estendere il condono anche alle cartelle di Equitalia, che al momento possono solo essere 'rottamate' con lo sconto su sanzioni e interessi e non sulle tasse dovute.

A fine giornata, in favore di fotografi, sorridono tutti soddisfatti. «Siamo tre uomini di parola», dice il leader della
Lega, gongolando perché «quello che poteva essere un passo indietro, poi è diventato un passo avanti» visto che arriva la 'vera' pace fiscale anche sulle cartelle Equitalia. «Nessuno scudo e nessun condono» sono le prime parole che dice invece, con sollievo, Luigi Di Maio avanti ai sostenitori del Movimento, riuniti al Circo Massimo, dopo aver incassato il successo in Consiglio dei ministri che ha «ribadito all’unanimità che non c'è alcuna volontà di favorire chi ha capitali all’estero».

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