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M5s, tensioni sul decreto sicurezza: i "ribelli" rischiano l'espulsione

Paola Nugnes

Sotto scacco dei dissidenti ortodossi che non accettano la stretta leghista imposta sui permessi umanitari nel decreto sicurezza, sotto assedio da parte degli alleati di governo sulla Tav, sotto pressione per i dati sconfortanti sull'andamento del Pil e la nuova reprimenda dall’Europa, sotto esame per il condono ad Ischia che il M5s nega ma che provoca una bagarre in Aula e per il decreto fiscale che i parlamentari ora vogliono correggere, dopo le promesse della viceministro Laura Castelli.

Per Luigi Di Maio sono ore di passione, ora che il vicepremier cerca di governare lanciando inviti al dialogo, chiedendo rispetto per il contratto di governo ma ricordando anche cosa rischiano i parlamentari che remano contro il progetto pentastellato, messo in campo - ricorda - solo grazie ad un accordo con un’altra forza politica. Mentre sale la tensione con la Lega per le scelte da fare sulla Tav, in cima alle preoccupazioni del vicepremier c'è soprattutto la sorte del dl sicurezza il cui varo, imprescindibile per il Carroccio, è messo in forse dai dubbi di un pugno di senatori pentastellati. Decisi a dare battaglia fino all’ultimo, anche a costo di votare contro una fiducia al provvedimento che in tanti oramai danno per acquisita.

«Il decreto sicurezza non lo voterò. Anche se ci fosse la fiducia» avverte il senatore Matteo Mantero. E’ un muro contro muro che sembra tuttavia incrinarsi con il passare delle ore. Il tempo lascia spazi infatti per un possibile accordo: oggi la commissione che sta esaminando il testo si è dovuta fermare per attendere l’ok della Bilancio sulla copertura delle misure previste ed anche l’esame in Aula arriverà solo ad inizio della prossima settimana. In tanti contano su questo lasso di tempo per trovare la quadra. «Voglio votare contro questo provvedimento, partito male, ma nel caso di un’eventuale fiducia mi riservo di valutare il da farsi» precisa la senatrice 'ribelle' dei 5S, Paola Nugnes che a fine giornata sembra ancora più possibilista: «I voti in Aula ci sono tutti» dice ricordando che «lo studio del provvedimento non è ancora finito» e che quando lo sarà farà con i suoi colleghi una valutazione. «Lavoriamo - assicura - per trovare una sintesi».  Anche il senatore Gregorio De Falco sembra aver seppellito l’ascia di guerra: «Abbiamo registrato qualche miglioria anche importante, però il punto di approdo è ancora lontano, ma il lavoro prosegue».

I toni, insomma, si fanno più distesi mentre slitta, causa lavori della Camera, l’assemblea congiunta dei parlamentari 5 Stelle chiamata da Luigi Di Maio per sedare i riottosi e rivendicare i progressi ottenuti. E soprattutto per ricordare loro - spiega chi gli è vicino - che il dl sicurezza è un provvedimento della Lega e che per quanto si possa emendare non si può pretendere di snaturarlo. La mancata unità del gruppo è un fardello che tutto il M5s rischia di pagare di fronte alla solida compattezza della Lega, che a stento tiene a freno l’irritazione per la posizione 5 Stelle sulla Tav. Oggi in consiglio regionale in Piemonte, 5 Stelle e Lega stavano per venire alle mani. Non hanno giovato le parole del ministro Toninelli, sicuro che «ci metteremo d’accordo con la Francia per non fare la Tav». Salvini evita di infierire ma il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, osserva: per il M5s «spiegare che alcune posizioni prese in passato non reggono alla prova della realpolitik del governo può essere difficile. Ma questo è un problema loro».

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