Un decreto che rischia di decadere e un ministro che minaccia di lasciare. Sono gli effetti di uno scontro durissimo nella maggioranza sulle trivelle. Il braccio di ferro sullo stop alle trivellazioni voluto dal M5s, prosegue fino a notte con la Lega. E blocca l’esame del decreto semplificazioni, che di rinvio in rinvio non è ancora approdato nell’Aula del Senato. M5s non molla: il ministro dell’Ambiente Sergio Costa dice di essere disposto a farsi sfiduciare, pur di non firmare autorizzazioni a trivellare. Ma la Lega replica tranchant: «Il Parlamento è sovrano, la decisione è politica». L’impasse sulle trivelle fa di nuovo arrivare a livelli di guardia le tensioni in maggioranza. Non solo le grandi opere come la Tav ma anche le nomine, a partire dalla Consob, sono bloccate (si starebbe vagliando un economista di alto profilo, oltre al nome M5s di Minenna). E il decretone su reddito di cittadinanza e quota 100, a una settimana dal varo, non è ancora stato bollinato dalla Ragioneria dello Stato: pesano problemi di coperture e il rischio per i saldi della manovra, che saranno oggetto di stretto monitoraggio nei prossimi mesi. Dal governo assicurano che entro giovedì sera il testo sarà al Colle per la firma. Ma l’esame in Parlamento già promette scintille. Il caso trivelle, del resto, non è un precedente promettente. Si tratta da giorni. Per i Cinque stelle, a maggior ragione dopo aver ceduto sul Tap, fermare le trivelle è diventata questione di vita o di morte (politica). Ma la distanza dalla Lega è enorme: Salvini sarebbe favorevole a proibire le trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa, come chiedeva il referendum (fallito) del 2016, ma non allo stop totale. A Ravenna, fanno notare, l’ingente aumento dei canoni che il M5s vorrebbe accompagnare alla sospensione dei permessi porterebbe la perdita di «migliaia di posti di lavoro». Perciò i leghisti bloccano la proposta di accordo che lunedì il M5s dava già per acquisita: sospendere per due anni - nelle more dell’adozione di un piano per la transazione energetica sostenibile - la ricerca di idrocarburi, lasciando proseguire la produzione per chi già avesse avviato quella che in gergo si definisce «coltivazione». Ma non basta alla Lega. C'è anche, denunciano, il rischio di ricorsi delle aziende per centinaia di milioni di euro. Anche l'ultima offerta M5s, che prevede di sospendere le concessioni non per 24 ma per 18 mesi, viene respinta. E il M5s a sua volta blocca un emendamento voluto dalla Lega per affidare alle Regioni, a scadenza delle concessioni, le grandi centrali idroelettriche. Fonti M5s ipotizzano che possa saltare l’intero decreto semplificazioni, per il quale il tempo è agli sgoccioli: deve essere convertito in legge entro il 12 aprile o decade. L'idea è blindare il testo in Senato, poi mandarlo alla Camera. Ma causa trivelle è impasse: una soluzione potrebbe essere stralciare la norma. Ma Di Maio non molla. Suona la carica Roberto Fico: «Dobbiamo investire in rinnovabili e nel futuro». Il ministro tecnico - ma in quota M5s - Costa in nome del «no alle trivelle» si dice pronto a non firmare «la valutazione di impatto ambientale» anche a costo di essere «sfiduciato» ("Torno a fare il generale dei Carabinieri"). La Lega non la prende bene. Massimo Garavaglia derubrica le parole del ministro a "punto di vista tecnico». La trattativa, che avrebbe al centro l'aumento dei canoni delle trivellazioni, prosegue fino a notte. La commissione viene a più riprese sospesa e i lavori in Aula slittano ancora. Il presidente Elisabetta Casellati, dopo il precedente della manovra, richiama la maggioranza «a una maggiore regolarità dei lavori» e al «rispetto per il Senato». La prossima settimana intanto la Lega rilancerà sulle grandi opere, sull'alta velocità Brescia-Verona e la Gronda a Genova. Nell’attesa della madre di tutte le battaglie: la Tav, tema che i leghisti intendono risolvere - senza lo stop - in tempo per le europee e le regionali in Piemonte di maggio. Impasse totale anche sulle nomine: non solo Consob, ma slitta anche la conferma di Gian Carlo Blangiardo, voluto dalla Lega, a presidente dell’Istat. Serve la maggioranza dei due terzi in commissione e dunque i voti di Fi. Ma gli azzurri chiede lo slittamento: stanno trattando su altro, secondo il Pd.