Quella per la nave Diciotti è stata una decisione presa «nell’interesse pubblico», per questo «va negata l’autorizzazione ai giudici». Lo scrive il vicepremier Matteo Salvini in una lettera al Corriere della Sera in apertura di prima pagina. «La mia vicenda giudiziaria è strettamente legata all’attività di ministro dell’Interno e alla ferma volontà di mantenere gli impegni della campagna elettorale», evidenzia Salvini citando i dati su sbarchi e rimpatri. «Non rinnego nulla e non fuggo dalle mie responsabilità di ministro. Sono convinto di aver agito sempre nell’interesse superiore del Paese e nel pieno rispetto del mio mandato. Rifarei tutto. E non mollo». «La valutazione del Senato è vincolata all’accertamento di due requisiti (ciascuno dei quali di per sé sufficiente a negare l'autorizzazione): la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o il perseguimento di un preminente interesse pubblico», spiega Salvini. «Il Senato non è chiamato a giudicare se esista il fumus persecutionis nei miei confronti dal momento che in questa decisione non vi è nulla di personale». Infatti, prosegue il vicepremier, «i giudici mi accusano di aver violato la legge imponendo lo stop allo sbarco, in virtù del mio ruolo di ministro dell’Interno». «Dopo aver riflettuto a lungo su tutta la vicenda, ritengo che l’autorizzazione a procedere debba essere negata. E in questo non c'entra la mia persona. Innanzitutto il contrasto all’immigrazione clandestina corrisponde a un preminente interesse pubblico, posto a fondamento di precise disposizioni», sottolinea il leader della Lega. «In secondo luogo, ci sono precise considerazioni politiche. Il governo italiano, quindi non Matteo Salvini personalmente, ha agito al fine di verificare la possibilità di un’equa ripartizione tra i Paesi dell’Ue degli immigrati a bordo della nave Diciotti. Questo obiettivo - conclude - emerge con chiarezza dalle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno del 2018».