Arriva il primo sì in Senato alla riforma costituzionale che riduce il numero dei senatori e dei deputati. In favore la maggioranza gialloverde, Fi e Fdi, mentre contro hanno votato Pd, Leu e Autonomie. Si tratta del primo passo, visto che le modifiche alla Carta richiedono ben quattro letture nelle due Camere. Rivendica il successo soprattutto M5s, a partire dai ministri Di Maio e Fraccaro, mentre la Lega, pur votando compattamente il testo, ha fatto intervenire in Aula in due giorni di discussione il solo Roberto Calderoli. Pronti a dar battaglia i Dem che preparano un ricorso alla Corte costituzionale perché i suoi pochi emendamenti sono stati dichiarati inammissibili e quindi nemmeno discussi e votati. Il disegno di legge, presentato da M5s e Lega, riduce il numero dei senatori da 315 a 200 e dei deputati da 630 a 400. Un taglio dei costi della politica, hanno detto tutti gli esponenti di M5s, il capogruppo Stefano Patuanelli, il presentatore del ddl Gianluca Perilli, i ministri Di Maio e Fraccaro. La Lega, con Calderoli, ha sottolineato piuttosto la maggior efficienza per due Camere più snelle: lo dimostra il fatto, ha detto, che già oggi il Senato fa le stesse cose della Camera con la metà degli eletti. «Il cavallo più magro corre di più» ha affermato. Ma a parte un battagliero Calderoli la Lega è stata silente e non ha mandato nessuno dei suoi ministri in Aula. La tesi di Caderoli è respinta da Pd, Leu, Misto e Autonomie. Con soli 200 senatori, le 15 commissioni permanenti - dove si scrivono in concreto le leggi - avranno sono 13-14 componenti; a malapena i grandi gruppi riusciranno a mandare un numero sufficiente di competenze necessarie (es. in Commissione giustizia esperti in diritto penale, in diritto civile, in diritto amministrativo, commerciale, ecc), mentre i gruppi medi e piccoli non vi riusciranno, con conseguente scarsa qualità delle leggi. Di qui i tre emendamenti del Pd che proponevano di trasformare il Senato in una Camera delle Autonomie locali da eleggere «con metodo proporzionale e su base territoriale», chiamata non a esprimere la fiducia al governo e a legiferare ma a svolgere funzioni di garanzia e controllo. Insomma stop al bicameralismo perfetto in favore di quello differenziato, come in tutti gli altri Paesi Europei. La presidente Elisabetta Casellati ha però dichiarato improponibili gli emendamenti Dem per estraneità di materia, il che li ha spinti ad annunciare in Aula, con Dario Parrini, un ricorso alla Corte costituzionale per la compressione del diritto di emendamento dei senatori. Forza Italia e Fdi hanno invece votato a favore. Ignazio La Russa ha spiegato che Fdi non vuole «prestare alibi» alla maggioranza di fare campagna elettorale su questi temi. Fi, con Gaetano Quagliariello, ha detto di voler fare «una apertura di credito» a M5s e Lega sul più ampio tema delle riforme. La risposta è stata un post irridente di Di Maio: «Oggi sono andato al Senato e mi sono voluto godere la scena, ho visto i senatori tagliare se stessi e ho visto quelli di Fi e Fdi dire 'non siamo d’accordo però la votiamo dimostrando un minimo di sensibilità con il popolo italiano'. Ma come al solito, allo stupore non c'è mai fine, ho visto il Pd votare contro».