Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, confida di potere vedere già domani, al rientro da Pechino, il sottosegretario alle infrastrutture Armando Siri, indagato per corruzione dalla Procura di Roma. «Domani confido di poterlo vedere. Non ho ancora fissato l’incontro, ma domani sicuramente sarà il primo giorno utile per poterlo vedere», ha detto Conte, al termine di una visita alla Città Proibita, a Pechino, prima del rientro in Italia. «Sono avvocato. Non ho mai fatto il giudice neppure prima e neppure adesso. Non è certo con l’approccio del giudice che affronterò il problema». Dice Conte. Ma da Palazzo Chigi fanno sapere che Conte rientrerà da Pechino domenica notte e martedì ripartirà per la Tunisia. È molto probabile dunque - spiegano fonti di Palazzo Chigi - che l’incontro con il sottosegretario Siri non avvenga lunedì ma nei giorni successivi.
La sopravvivenza del Governo non è minacciata dal caso Siri: ne è convinto il ministro dell’Interno Salvini, che, a una domanda sul punto, ha risposto «No, per combattere la droga ci vuole un governo». «Io - ha detto - parlo di vita reale: mi sto occupando di lotta alla droga. Sono pronto a incontrare le comunità di recupero dei tossicodipendenti e a combattere ogni tipo di droga via per via città per città. Non mi occupo di altri. In questo momento il resto del dibattito lo lascio ai giornalisti e ai giudici».
In ogni caso dalla Cina Cina, dov'è in missione per il forum sulla 'Via della seta', il premier Giuseppe Conte ha fatto arrivare al sottosegretario leghista Armando Siri un messaggio chiaro: se riterrà di allontanarlo, troverà il modo di fargli lasciare la poltrona.
Palazzo Chigi teme che la vicenda possa avere ricadute sulla fiducia che gli elettori hanno riposto nel governo. L’immagine dell’esecutivo è a rischio. Non tanto perché questo è l’ennesimo motivo di rottura fra i due partiti di maggioranza, quanto per i contenuti delle accuse che la procura rivolge al sottosegretario leghista.
Siri è indagato per corruzione in un’inchiesta che tocca pure persone ritenute vicine alla mafia. Ecco che, per togliere d’impiccio il Governo, in molti auspicano che sia lo stesso Siri a fare un passo indietro. Anche perché c'è il timore che l’indagine possa trasformarsi in un lento stillicidio e che emergano nuove carte.
Prima di ogni mossa, però, il sottosegretario deve essere messo in condizione di capire cosa contenga davvero il fascicolo della magistratura. Ieri la procura di Roma ha trasmesso al Tribunale della Libertà l’informativa della Dia di Trapani con l'intercettazione ambientale che lo tira in ballo. Ma per ora non sembra che i difensori l’abbiano ritirata. Il contenuto resta dunque 'ignoto' alle persone coinvolte nell’indagine.
In questo scenario, non pare ci sia l’intenzione di mettere alle strette Siri. Se al sottosegretario servirà un po' di tempo per studiare la vicenda processuale, il faccia a faccia decisivo con Conte potrà slittare, anche se di poco. La Lega continua a difendere Siri
«Conosco bene Armando - ha detto il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon - e sono convinto che non ci sono situazioni particolari. Dopodiché, il presidente Conte lo ha già convocato e decideranno loro quello che sarà meglio fare nei pieni poteri di entrambi». Mentre dall’opposizione, Carlo Calenda parla del caso Siri come di "un’arma di distrazione di massa» per far in modo che non si parli di un governo che ha «perso il controllo del Paese». Il deputato del Pd Roberto Morassut chiede invece che Salvini chiarisca in commissione parlamentare Antimafia se «esistono relazioni tra organizzazioni criminali di stampo mafioso ed esponenti della Lega» visto che nelle «indagini in corso sul sottosegretario Siri c'è un’ipotesi di reato che allude anche a relazione con elementi mafiosi».
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