Armando Siri va difeso. Punto. E’ la linea di Matteo Salvini. E’ la linea di una Lega che, al netto di sensibilità personali, ha visto come un affronto la scelta di Giuseppe Conte di dimissionare il sottosegretario in conferenza stampa. Se c'erano tentennamenti, ora è muro contro muro. Il leghista indagato - questa è ad oggi la linea - non si dimetterà prima che il premier ne porti la proposta di revoca in Consiglio dei ministri. L’atto non va votato: decide il premier. Ma la partita è tutta politica: Luigi Di Maio rivendica di avere la maggioranza, la Lega potrebbe mettere a verbale il suo dissenso. Sul caso Siri, assicurano tutti, il governo non cade. Ma dopo le europee è tutt'altra storia: Salvini potrebbe aprire la crisi. E’ metà mattinata quando il vicepremier leghista, che è in campagna elettorale in Emilia Romagna, lascia trapelare la sua irritazione dalle righe di una dichiarazione al vetriolo. Conte lo ha sfidato decidendo di cacciare Siri, il M5s canta vittoria, ma il leader leghista dice che evidentemente hanno «tempo da perdere a polemizzare». «Conte mi sfidi sulle tasse, su qualcosa che interessa gli italiani, non sulla fantasia», dichiara il ministro dell’Interno, che prova a rilanciare sui temi di una campagna elettorale che avrebbe voluto tutta centrata su flat tax, sicurezza, lotta alla droga, e che invece ha deviato sul binario della giustizia. Giancarlo Giorgetti alla domanda se la maggioranza potrebbe rompersi risponde con un eloquente «non so». Poi aggiunge: «Bisogna decidere se si vuole perdere tempo o lavorare». Ma il M5s, convinto di aver segnato un punto su un tema sensibile per il suo elettorato, scommette che Salvini non possa far saltare il governo su Siri e si fa spavaldo. «La questione Siri è chiusa», dichiara Di Maio. Poi stuzzica l'alleato: «Quanto casino fa la Lega per una poltrona». I rapporti sono così logori, che non si segnalano contatti in giornata tra i vertici del governo ("Conte? Vorrei sentire Antonio...», ironizza Salvini). Il primo Consiglio dei ministri utile per confrontarsi su Siri ci sarà mercoledì mattina, 8 maggio. La Lega fa testuggine e al momento esclude le dimissioni del sottosegretario, soprattutto se prima di mercoledì Siri verrà ascoltato dalla procura di Roma. C'è tempo, fa notare qualche fonte, per cambiare idea ed evitare il "redde rationem" in Cdm. Ma anche gli avversari dell’ideologo della flat tax interni alla Lega sostengono la linea dura, in nome del garantismo: «Nessuno lo molla», dicono da via Bellerio. E Siri su Facebook li ringrazia, smentendo di sentirsi abbandonato. Spetta a Conte portare in Cdm il decreto di revoca del sottosegretario, d’accordo con il ministro Danilo Toninelli e "sentiti" gli altri ministri. La firma di Mattarella è solo formale. Il voto in Cdm non è previsto. Oggi dalla Lega fanno sapere che difficilmente diserteranno la riunione, ma non lo escludono. Un confronto, a meno di dimissioni in extremis di Siri, ci sarà. «I numeri sono dalla nostra parte», dice Di Maio, che conta la maggioranza dei ministri. E difende anche il premier Conte dall’accusa leghista di essersi schierato ancora una volta col Movimento. Ma per evitare lo «showdown» politico, sia Toninelli che il leader M5s auspicano che Siri si dimetta prima del Cdm. Comunque vada, assicura Salvini, il governo va avanti. Ma i leghisti aggiungono: per ora. Dopo le europee si apre un’altra partita. Di Maio scommette che non ci sarà neanche un rimpasto di «poltrone». I leghisti raccontano che il leader ora non esclude più neanche la rottura: se davvero, come dice qualche sondaggio, la Lega scavalcasse il M5s di 10-12 punti, Salvini potrebbe aprire una crisi di governo al buio. Perché se è vero che il leader della Lega non vuole addossarsi la crisi, è anche vero che - come assicura Di Maio - i litigi «non sono una finta». I rapporti sono logori: ricucire non è scontato.