«Habemus decretum», esulta Matteo Salvini. È questo il primo effetto concreto della tregua nel governo: il decreto sicurezza bis passa, dopo un mese di travaglio e alcune sostanziose correzioni, le forche caudine del Consiglio dei ministri. In contemporanea, la Lega ritira i suoi emendamenti al salario minimo: aprirà un confronto con il M5s. E alla Camera arriva il primo voto di fiducia post-europee, sul decreto sblocca cantieri. Il governo gialloverde si riavvia. Per ora. La trattativa con l’Ue sui conti pubblici, la giustizia, l'autonomia, la Tav, metteranno alla prova la sua durata. La riserva non è sciolta, anche perché i rapporti sono logori. La finestra del voto a settembre non si è ancora chiusa: il momento segnato in rosso sul calendario cade tra fine giugno e inizio luglio. Fino ad allora è tregua, non è pace. Il premier e il leader della Lega tengono sul tavolo le loro armi. Conte dice che si dimetterà «immediatamente» se si accorgerà di non avere più «piena delega e mandato» di M5s e Lega. Salvini ripete che «non c'è alternativa al governo del cambiamento» ma poi aggiunge: «l'unica alternativa è il voto». Se lo sono detti in privato e se lo dicono anche in pubblico, fianco a fianco. Nella prima conferenza stampa congiunta a Palazzo Chigi dopo mesi, Conte spiega che il vertice di lunedì notte con Di Maio e Salvini ha avviato una «ricognizione» degli obiettivi del contratto di governo. «Nessuno mi ha mai messo in discussione», dice voltandosi a guardare il leader leghista. Salvini allarga le braccia, si stende sulla sedia e sorride sornione. Avanti sì ma passo dopo passo, confermano in casa Lega. Ma in via Bellerio circola un pensiero molto negativo: che sia Conte il «punto debole» sulla via della tenuta del governo. La voce del premier è dissonante, sulla trattativa con l’Ue così come sulla sicurezza. Salvini intende dare le carte nei prossimi quattro anni di legislatura e in questa strategia viene letto con sospetto l’atteggiamento del premier. Quanto a Di Maio, la sponda che offre a Salvini è un pezzo di una partita diversa rispetto a quella del ministro dell’Interno: in ballo per il leader M5s c'è la tenuta stessa del Movimento. In Consiglio dei ministri intanto il leghista riscuote il suo dividendo elettorale incassando il via libera al decreto sicurezza. Si dice sicuro che non incorrerà in giudizi di incostituzionalità (così come il primo decreto sicurezza, che è al vaglio della Consulta). E con Giancarlo Giorgetti, autore delle norme sulla sicurezza negli stadi, ne illustra i contenuti. Non ci sono più le multe per i migranti salvati in mare ma per le navi che non rispettino il divieto di ingresso in acque italiane. Quanto alla sicurezza urbana, Salvini assicura che l’inasprimento delle pene per chi usi «razzi, petardi, mazze o bastoni» nelle manifestazioni non è «troppo repressivo» della libertà di pensiero perché non colpisce i cortei pacifici. Non solo. L’Italia, come sollecitato da Salvini, manda una dura lettera all’Onu che alla vigilia delle elezioni aveva bocciato proprio il decreto sicurezza bis: l’Italia difende in via «prioritaria» i diritti umani e la posizione Onu ha «un approccio inadeguato e di stupefacente ristrettezza mentale». In Senato nelle stesse ore il capogruppo leghista Massimiliano Romeo annuncia che la Lega ritira i suoi emendamenti alla legge pentastellata sul salario minimo. Ma non è un ritiro incondizionato: dovrà aprirsi un «tavolo» per modifiche concordate al testo. Prossimi passaggi per il governo saranno l’autonomia e la Tav, sulla quale Conte non scioglie la riserva ("C'è un confronto con la Francia in corso"). E poi c'è la flat tax: al premier che preannuncia uno schema di manovra autunnale fin da subito, l’avvertimento è chiaro. «La tassa piatta e un sostanziale abbassamento delle imposte dovrà essere parte fondamentale», qualsiasi cosa ne dica l’Ue.