Distanti in tutto, anche geograficamente, Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Luigi Di Maio si preparano alla settimana che potrebbe segnare la crisi del governo. L’incidente che potrebbe portare la Lega al ribaltone, questa volta, è il dossier sulle Autonomie, sul quale la pressione del Nord su Salvini è fortissima. E nella serata di ieri il titolare del Viminale torna ad alzare i toni lanciando un netto ultimatum. «Stiamo al governo solo per fare le cose importanti. Se non riusciamo, andremo da soli ma non ci fermiamo. Non accettiamo un no, il governo passa dalle Autonomie. Abbiamo aspettato anche troppo», avverte Salvini da Adro. Sulle Autonomie, tra l’altro, lo scontro tra i governatori leghisti e Conte è messo per iscritto. In una lettera pubblicata sul Corsera il premier dice «basta con gli insulti», rivendica il lavoro fatto e assicura che incontrerà i governatori. «Siamo feriti dalle parole di Conte, non firmiamo una farsa, vogliamo una vera Autonomia», replicano, con una dura lettera aperta, Attilio Fontana e Luca Zaia. Lettera della quale Conte, spiegano a Palazzo Chigi, prende atto registrando positivamente un cambio di toni che prelude ad una corretta interlocuzione istituzionale. I due governatori sanno che, nella loro offensiva a Conte, hanno Salvini dalla loro parte. Il dossier Autonomia è spinoso anche per lui, chiamato a tenere l’equilibrio tra le ragioni del Nord e un Meridione che, da tempo, per la Lega è terra di conquista. Salvini, raccontano fonti a lui vicine, attenderà il vertice di martedì pomeriggio a Palazzo Chigi prima di prendere una decisione sull'Autonomia. Certo, così come si va delineando, l'intesa non piace anche a lui, soprattutto sul punto delle risorse finanziarie, che sarà sul tavolo delle riunioni convocate da Conte proprio martedì. E parlando al comizio di Adro Salvini esprime tutto il suo malcontento. «Non accetterò più un minuto di stare al Governo con chi dice no. Qualunque decisione che prenderò, la prenderò per i miei figli», sottolinea il vicepremier attaccando frontalmente il M5S per il voto alla von der Leyen: «chi sta con Macron e Merkel in Europa non può stare in Italia con la Lega». Del resto i rapporti con Conte e Di Maio sono ai minimi termini, i contatti ridotti allo zero, gli eventuali incontri chiarificatori per ora solo annunciati. Dalle parti di Palazzo Chigi quelle che sono definite come minacce di crisi a mezzo stampa, che arrivano un giorno sì e l’altro pure, cominciano a infastidire. «C'è un governo che, al di là delle minacce, lavora febbrilmente», fanno notare fonti governative ricordando l'agenda fittissima di riunioni che Conte ha avuto e avrà nei prossimi giorni, quando vedrà pure le parti sociali. Il governo, si sottolinea a Palazzo Chigi, per il premier va avanti perché ci sono tante cose da fare per l’Italia. E Di Maio? Prepara, raccontano fonti pentastellate, un’offensiva sul taglio dei parlamentari, riforma centrale che, secondo il Movimento, potrebbe essere tra i motivi non detti della volontà della Lega di rompere. Sull'Autonomia il leader M5S non si esprime: nel Movimento si ribadisce come la riforma è nel contratto per i Cinque Stelle va fatta, ma bene, e la rivolta dei governatori non è altro che l’apertura di un fronte interno alla Lega. Tanto che le uniche riflessioni della giornata Di Maio le dedica al salario minimo, tema sul quale finisce sotto attacco della Lega. «Chi frena il provvedimento pugnala i lavoratori», avverte il vicepremier M5s annuncia, sulla proposta di legge, «novità nei prossimi giorni». Novità che non si vedono, invece, sul fronte di eventuali riunioni tra il premier, o Di Maio, e Salvini. Ed è a Conte che, in questi giorni, il leader della Lega punta con forza, tanto da aver messo momentaneamente da parte anche il tema rimpasto. Così come secondario, al momento, appare il dossier del commissario italiano in Ue, al quale la Lega comunque non ha rinunciato. Al momento il vero punto è se il governo supererà la settimana. «Di Maio e Salvini sono indecenti. Mollate le poltrone. Governo a casa e la parola agli Italiani», attacca il segretario Pd Nicola Zingaretti.