La spaccatura più profonda del governo gialloverde va in scena nell’Aula del Senato che boccia la mozione No Tav del M5S e approva quella a favore della Torino Lione presentata dal Pd. Per la Lega si «apre una questione politica», scandisce il capogruppo Massimiliano Romeo parlando davanti ai senatori di Palazzo Madama. Le votazioni si consumano poco prima di pranzo, senza che Luigi e Di Maio e Matteo Salvini sillabino una parola, e da lì in poi è tutto un rincorrersi di voci di crisi. Il leader leghista annulla gli appuntamenti del pomeriggio: niente mercato del pesce ad Anzio, niente comizi. Intanto il Pd, a sua volta attraversato da divisioni interne, incalza: Nicola Zingaretti chiede a Conte di prendere atto di non avere più una maggioranza e di salire conseguentemente al Colle. Sono cinque le mozioni che alla fine vengono messe ai voti (una, di Leu, è preclusa) e il risultato descrive un Parlamento pro Tav: sono 181 i sì a favore e 109 quelli contrari. Dopo giornate di tentennamenti e consultazioni trasversali, i due blocchi si consolidano a ridosso del voto: il Pd taglia a tre righe il proprio dispositivo ripulendolo dagli attacchi al governo e rendendolo votabile per la Lega. Anche Bonino, FdI e FI si associano e scatta il patto: i gruppi favorevoli sono pronti a schierarsi a sostegno dell’opera. C'è chi si dissocia, come il Dem Tommaso Cerno che vota con i 5S, chi come Luigi Zanda avrebbe preferito uscire dall’Aula e far emergere ancora più chiaramente l’immagine di un Esecutivo diviso. Vedere accostati in un voto Lega, Pd, FdI e FI - dice il senatore - non è un bello spettacolo. La fotografia di questa giornata è però soprattutto quella di Salvini e i suoi ministri seduti ai banchi del governo a distanza di tre poltrone da Di Maio e Toninelli. Non si salutano e non si parlano per tutto il tempo. Una separazione sottolineata ancora una volta al momento in cui il governo viene chiamato dalla presidenza del Senato a rendere i pareri sulle mozioni: si alzano in due ed è il leghista e viceministro all’Economia Massimo Garavaglia a bruciare sul tempo il collega 5S Vincenzo Santangelo. Parla, dice, a nome della Lega e invita a votare Sì Tav facendo un contropiede al collega che è costretto a sottolineare che lui sì parla a nome del governo e che la posizione ufficiale è di neutralità. Esecutivo rimesso all’Aula. Poi, via alle mozioni che in una manciata di minuti chiudono la mattinata senatoriale ma il cui esito apre la vera partita a Palazzo Chigi. Nel mirino il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, che ha votato con i 5S No alla Tav, e che da giorni subisce gli attacchi di Salvini ostenta tranquillità pochi minuti dal voto: «Vado avanti sereno e tranquillo. Le loro sono critiche generiche, io continuo a lavorare per sbloccare le opere». E come una giornata qualsiasi lascia un Palazzo per entrare in un altro: poco dopo sarà alla Camera in audizione a parlare di «grandi navi». Quasi a sera, in un altro palazzo ancora, a Chigi, si materializza infine Matteo Salvini. Nella sede del governo è rimasto tutto il giorno il premier Giuseppe Conte. Il vertice comincia a due, tra il presidente del Consiglio e il titolare del Viminale. E non si esclude che in corsa non abbia partecipato anche Luigi Di Maio. Il leader della Lega, che oggi avrebbe dovuto dare il via al tour delle spiagge, rimanda i primi due appuntamenti e lascia tutti in attesa dell’intervento previsto per la serata: «Mi pare chiaro che qualcosa dichiarerà, sono sette ore e mezzo che non parla..», dice il sottosegretario leghista al Lavoro Claudio Durigon che insieme ad altri colleghi di partito aspetta il "capitanoq sotto un palco a Sabaudia .