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Crisi, si sblocca la trattativa: il Pd apre a Conte, rimane il nodo dei vicepremier

In concomitanza con il secondo giro di consultazioni al Colle si sblocca la trattativa per il governo giallorosso. Non è ancora finita, e l’intesa non potrà che essere siglata solo dopo la salita al Quirinale del Pd e del M5S, ma dopo aver rischiato di deflagrare tra veti, contro-veti, dubbi dei leader e divisioni interne, il negoziato per un nuovo governo è ufficialmente ripartito.

Ed è il premier uscente Giuseppe Conte a sbloccarlo diradando i dubbi dei Dem sulla «brama» di poltrone da parte di Luigi Di Maio, con un occhio particolare al Viminale. «Di Maio non ha mai chiesto il ministero dell’Interno» sottolinea nel pomeriggio il premier, al quale, solo poche ore prima, i Dem avevano chiesto di condurre in prima persona la trattativa.

Conte entrerà ufficialmente in campo solo dopo aver avuto l'incarico dal presidente Mattarella. Per ora a condurre il difficile dialogo restano Di Maio e il segretario Pd Nicola Zingaretti. Con un nodo, su tutti: quello di vicepremier. Il Pd considera infatti Conte come esponente 5S e vorrebbe un vicepremier unico, in quota Dem. Il M5S mira a ripetere lo schema giallo-verde: un premier-garante e due vice. Con una terza ipotesi: che alla fine le due parti convergano su un presidente del Consiglio e nessun vice.

Le stoccate arrivate dai Dem al capo politico, dopo il vertice notturno di 4 ore, riguardano più il ruolo di vice al quale mira Di Maio che quello di successore di Salvini. «E' impossibile uno schema con Di Maio vicepremier», avverte Andrea Marcucci, tra i più favorevoli all’accordo con il M5S. Per Di Maio scatta il campanello d’allarme. Qualcuno, tra i "filo-Dem" nel Movimento, comincia a temere che l’accordo deflagri. «Concentriamoci sui temi», è l’invito che Carla Ruocco rivolge al capo politico in vista dell’assemblea notturna dei gruppi.

Alla Camera, a cavallo dell’ora di pranzo, cominciano ad arrivare alla spicciolata gli esponenti 5 Stelle per una riunione informale con i capigruppo Stefano Patuanelli e D’Uva, che poi si recano a Palazzo Chigi per incontrare Di Maio. E’ il momento più delicato della trattativa. E non a caso, in diretta facebook, Matteo Salvini sibila: «M5S e Pd litigano sulle poltrone, come nella Prima Repubblica». E’ a quel punto che lo stallo si sblocca. Con una e più telefonate tra Conte e Zingaretti, che chiede garanzie sulla «presenza» del premier nella trattativa. Una trattativa che, sebbene ancora in maniera ufficiosa, ormai sembra contemplare senza più troppe ombre la presenza di Conte a Palazzo Chigi.

E nella sala Siani di Montecitorio tornano a riunirsi, questa volta con tanto di photo-op, le delegazioni Pd e M5S, guidate dai capogruppo, per iniziare a lavorare su un documento comune. «È stata una riunione serena, abbiamo approfondito i punti per una base comune programmatica», sottolinea il Pd. «C'è stato un buon clima, ma non abbiamo parlato di nomi», aggiunge Stefano Patuanelli. Ponendo l’accento su un punto: «Il nostro capo politico è Di Maio e si parla con lui». Parole che suonano come un avvertimento al Pd, ma forse anche ad una certa parte del Movimento: il leader del M5S non è Conte ma Di Maio.

Intanto, al Colle iniziano le consultazioni, con Leu e anche Civica Popolare che ribadiscono il loro sì al governo. Domani toccherà ai big e, se la trattativa Pd-M5S si concluderà Mattarella incaricherà Conte tra mercoledì sera e giovedì, lasciandogli un certo margine per continuare a lavorare su programma e squadra di governo. Ma nelle prossime ore, per suggellare la schiarita Pd-M5S forse servirà un nuovo vertice tra Zingaretti e Di Maio. Del resto entrambi i leader devono ancora sciogliere gli ultimi dubbi personali e superare le pressioni interne. «Dal Pd nulla su Benetton e Malagò», tuona non a caso Alessandro Di Battista, forse tra i più strenui nemici dell’abbraccio del Movimento al Pd.

Stamattina molte nubi, nel pomeriggio un po' di sereno. Viste dal colle del Quirinale le trattative che potrebbero portare alla nascita di un esecutivo M5s-Pd sono state oggi un’altalena di possibilità, dalla rottura alla ricucitura in poche ore. In mezzo contatti febbrili tra i partiti, incagliati su numero e nomi dei vicepremier, tema sul quale il Presidente ovviamente non è entrato e non entrerà. L’unica certezza dei partiti è stata però che Sergio Mattarella intende dare un incarico già al termine del secondo giro di consultazioni.

Se nelle consultazioni di domani emergerà un accordo tra M5s e Pd con un perimetro politico preciso, l’intesa su un nome e una cornice programmatica condivisa e chiara, Mattarella incaricherà Conte. Altrimenti incaricherà una personalità di garanzia per guidare un governo che non otterrà la fiducia, porterà il Paese alle urne in tempi rapidi (ma già si va come minimo al 10 novembre) senza fare alcun provvedimento pesante come potrebbe essere la manovra 2020. Se invece reggerà l’intesa M5s-Pd, verrà chiamato al Quirinale per l’incarico un premier politico, a quest’ultimo verrà dato tempo per fare le sue consultazioni, stilare la sua lista dei ministri e comporre un programma. Alcuni giorni, senza porre limiti troppo severi: tutto dipende dalle richieste del premier incaricato per perfezionare l’intesa. Dopodichè il premier tornerà al Colle, scioglierà la riserva e consegnerà le sue proposte di ministri al presidente.

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