Oggi ci prova a fermarlo anche il sindaco di Firenze Dario Nardella, fedelissimo della prima ora. Ma ormai Matteo Renzi sembra deciso: domani, con un’intervista ad un quotidiano e poi nel salotto di Porta a Porta, annuncerà le ragioni che lo spingono a lasciare il Pd e a mollare gli ormeggi per il suo nuovo movimento che, affiancando i comitati civici di 'Ritorno al futuro', nascerà sia in Parlamento con un gruppo autonomo alla Camera e una componente nel misto al Senato, sia al governo con 2 ministri, Bellanova e Bonetti, e 2 sottosegretari, Ascani e Scalfarotto. E in serata le certezze dei renziani vanno oltre: ci sarebbero le basi numeriche per formare un gruppo autonomo sia alla Camera (20 deputati) sia al Senato (10 senatori), si sottolinea in ambienti vicini all’ex premier. In un’intervista di sabato scorso al Times, Renzi raccontava di aver lavorato quando era sindaco nell’antico studio di Machiavelli ma «posso dirvi che non sono machiavellico». In molti, però, nel tempismo scelto nel decidere lo strappo dal Pd, vociferato da mesi ma ora imminente subito dopo la nascita del Conte bis, vedono l’accostamento con le tesi del filosofo fiorentino. Ma, assicurano i renziani, il nuovo movimento, che potrebbe chiamarsi 'Italia del sì', non sarà un pericolo per il governo anzi «paradossalmente - garantisce Renzi sempre nell’intervista al Times - ne amplierebbe il sostegno». L’ex premier avrebbe assicurato lealtà a Conte stesso, a quanto si apprende. Nessun contatto, invece, spiegano al Nazareno, con il segretario Nicola Zingaretti che anche ieri ha lanciato un nuovo appello ad evitare una scissione del Pd. E, mentre crescono esponenzialmente le possibilità di un addio dei renziani ai Dem già nelle prossime ore dal Nazareno filtra un assoluto silenzio. E, si spiega, la situazione non dovrebbe cambiare fino a che non parlerà Renzi. Per i fedelissimi che lo seguiranno sono molte le ragioni per separare le strade dal Partito democratico: «C'è uno spazio politico enorme - spiega uno dei dirigenti impegnati nell’operazione - sia nell’elettorato moderato visto l'appannamento di Berlusconi e la centralità di Salvini sia nell’elettorato di centrosinistra perchè sentir cantare 'Bandiera rossa' alle feste del Pd per molti elettori non è folclore e mette a disagio». Nessun timore della concorrenza al centro di un’eventuale soggetto creato da Carlo Calenda insieme a Matteo Richetti: «E' un tema solo per il ceto politico non tra la gente», liquidano i renziani. Nel Pd, però, continuano a negare che si tratti di una «separazione consensuale». La scissione, per Enrico Letta, è «una cosa non credibile, non c'è alcuno spazio per una scissione a freddo, e parlare di separazione consensuale non ha senso». E se il sindaco di Milano Giuseppe Sala non sembra disperarsi - «c'è chi entra e c'è chi esce nel Pd», sostiene -, per Luigi Zanda «sarebbe un trauma». Renzi ormai ha però mollato gli ormeggi ed è convinto che, spiega al Times, «siamo 1 a 0 contro il populismo, è importante sconfiggere Salvini fra la gente, non solo politicamente» dopo averlo messo fuori gioco al governo con l’intesa M5S-Pd sul Conte bis. Non tutti i fedelissimi, però lo seguiranno: Luca Lotti e Lorenzo Guerini, neo ministro della Difesa, restano nel Pd, in contrasto con la decisione dell’ex leader dem, così come Nardella e altri parlamentari. Una separazione dolorosa che Renzi ha deciso di accelerare proprio per aver tempo di spiegare la decisione prima della Leopolda, dove, raccontano i suoi, si traccerà la rotta del nuovo movimento.