Matteo Salvini conquista San Giovanni, sancisce la sua leadership ormai indiscussa della coalizione e lancia la sfida al governo, sicuro di tornare presto a Palazzo Chigi, ma stavolta dalla «porta principale». «Vinciamo tutte le prossime nove regionali e li mandiamo a casa».
Alla fine anche Berlusconi confessa ai suoi di essere soddisfatto: «La maggioranza del paese ci vuole uniti e noi oggi lo eravamo. Era giusto essere qui oggi. Ho fatto bene a venire». Temeva i fischi e invece incassa applausi. Una manifestazione dai grandi numeri e composta, secondo gli organizzatori in 200mila persone provenienti da tutta Italia, con la parola d’ordine «Orgoglio italiano».
E alla fine l’obiettivo è raggiunto: rilanciare la coalizione a trazione leghista, in un altro giorno segnato dal caos interno all’esecutivo. L’appello a evitare simboli di partito, a favore del tricolore, cade ampiamente nel vuoto: tantissimi hanno in mano le bandiere con Alberto da Giussano, molte quelle con la Fiamma di Fratelli d’Italia e qualcuna anche di Forza Italia.
Una folla vivace, motivata, che lancia a più riprese bordate di fischi e insulti soprattutto a Beppe Grillo, ma anche al premier Giuseppe Conte, al Pd, ai Cinque Stelle, ai giudici e a Gad Lerner. Insulti anche per la sindaca Virginia Raggi. Nemmeno la controversa presenza degli estremisti di destra di Casapound frena il successo della manifestazione. «Siamo qui per dare un contributo di idee», spiega Simone Di Stefano, uno dei leader di Casapound arrivando in piazza.
«Questa - chiarisce subito Salvini - non è una piazza di estremisti ma di italiani orgogliosi di essere italiani». Sul palco parlano per primi due sindacalisti della Polizia Penitenziaria, poi i governatori del centrodestra. Luca Zaia, il «doge», come viene presentato, auspica che la polizia abbandoni «il galateo e riprenda i manganelli». Marco Marsilio, governatore abruzzese, ricorda che con l’elezione diretta «Mattarella non sarebbe mai stato eletto».
Quindi i tre leader, nell’ordine Berlusconi, Meloni e infine il «Capitano». Ed è proprio lui, come un cortese 'padrone di casa' a introdurre prima il Cavaliere - «un mio amico che inventò il centrodestra» - poi Giorgia Meloni, «una vera combattente per la libertà». «Siamo qui - attacca l’ex premier - per dire no al governo delle tasse, delle manette, della burocrazia e del giustizialismo. Per vincere siamo tutti indispensabili, voi della Lega, di FdI e noi
di Forza Italia».
Un modo per porre l’accento sul carattere collegiale della coalizione. «Da questo palco, davanti a 200mila persone - sfida Giorgia Meloni - chiedo a Matteo e a Silvio di dire mai con il Pd, mai con i Cinque Stelle». Ai suoi ancora brucia la nascita dell’esecutivo gialloverde, ma oggi non è il giorno dei rimproveri sul passato. Semmai alza i toni sui migranti: «Se servono i muri si costruiscono i muri, se servono i blocchi navali, si fanno i blocchi», ammonisce.
Salvini, accompagnato da un ovazione e il tradizionale «Nessun dorma» che rimbomba sulla piazza entusiasta, chiude la kermesse. «Qui - esordisce - c'è il popolo contro elite, piazza contro Palazzo». Attacca Grillo che vuole togliere il voto agli anziani, il governo che sui migranti «ha le mani sporche di sangue», frase che Conte liquida come «stupidaggine». Quindi chiede rispetto per le divise e l’ergastolo per pedofili e stupratori.
Ma il piatto forte del suo intervento è la difesa dei lavoratori, degli artigiani, delle famiglie italiane da un governo che vuole «spennare tutti con più tasse». La folla è con lui, scommette sul suo successo futuro. «Centrodestra o centrosinistra - sintetizza Luca Zaia - sono formule di un’altra era. Ora la politica segue altre logiche, non più partiti o coalizioni, ma la forza della leadership. E noi abbiamo Salvini».
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