Gaetano Silvestri scherza al telefono, «sono agli arresti domiciliari pur senza aver commesso alcun reato». In questi giorni così drammatici e stranianti per tutti il presidente emerito della Corte Costituzionale ed ex rettore dell’Università di Messina come sempre ha indicato una strada e teorizzato soluzioni calandosi nella realtà attuale, scrivendo un illuminante e fondamentale saggio articolato su cinque tematiche attualissime, pubblicato sul sito di Unicost. Che fa comprendere per la sua cristallina chiarezza non soltanto ai giuristi ma anche ai non addetti ai lavori cosa sia successo sul piano delle garanzie costituzionali, visto il “frenetico” susseguirsi di provvedimenti adottati dal governo, o meglio “dall’uomo solo al comando”, per fronteggiare la pandemia, gli ormai famosi Dpcm, ovvero i decreti della presidenza del Consiglio dei ministri. La “carta bianca” che in molti hanno criticato e che qualcuno auspica. Il presidente ha accettato di rispondere ad alcuni quesiti. Presidente la nostra democrazia è in pericolo, è stata “sospesa”? «Non direi. Oggi il rischio è la diffusione della convinzione che i diritti e le garanzie fondamentali siano sospendibili e che ci si incammini – come in qualche momento è stato fatto – su questa via. Occorre che ci si renda conto che la democrazia non può essere sospesa neppure per un minuto, anche se diritti e doveri possono essere esercitati diversamente in circostanze differenti». Il concetto di “eccezionalità” come si deve affrontare e come è stato affrontato secondo lei in questi frangenti? Si è agito in maniera corretta? «È pericoloso parlare di eccezionalità come situazione giuridicamente regolabile a piacimento. Mi sembrerebbe più corretto trattare le situazioni di emergenza come “specifiche”, sempre sotto l’impero della Costituzione». Alcuni provvedimenti emanati erano “fuori legge”? «L’espressione “fuori legge”, a proposito di alcuni provvedimenti statali, regionali o locali mi sembra fuorviante, perché evoca l’idea di illeciti penali. Si è trattato invece, a mio avviso, di deviazioni dall’ordine costituzionale delle fonti e dalla distribuzione ordinata delle competenze, che non assumono rilievo penale, ma solo istituzionale (nel caso diano luogo a sconfinamenti tra organi costituzionali) o amministrativi (se non si verifichino al massimo livello). Il rilievo penale potrebbe sorgere tuttavia se queste deviazioni venissero ripetute nella consapevolezza di sovvertire l’ordine costituzionale delle competenze». La Carta costituzionale è stata “violata”? «In qualche caso sì. Del resto in tutti i casi in cui la Corte costituzionale pronuncia una sentenza di accoglimento, si può dire che la Carta è stata violata». Il Parlamento è stato messo o s’è messo fuori gioco da solo in questa “emergenza”? Insomma, per dirla con Celentano, era assolutamente necessario essere “rock” e non “lenti”? «Si può essere veloci e attenti. Faccio un solo esempio: si potrebbero convertire i decreti legge in commissione, previa una facile modica dei regolamenti parlamentari. Si eviterebbe così di tagliare fuori il Parlamento con la scusa della sua “lentezza”». Ma nel nostro Paese, esiste ancora la “separazione dei poteri” oppure è divenuta una mera illusione? «Per fortuna ancora esiste. Purtroppo si fa strada il mito del “capo”. Aspiranti duci e ducetti reclamano “pieni poteri”. Il culto dell’uomo forte torna ad apparire all’orizzonte, come nel XX secolo, quanto Mussolini, Hitler e Stalin furono divinizzati con le spaventose conseguenze che tutti conosciamo. Non abbiamo bisogno di uomini eccezionali, ma solo di governanti onesti, laboriosi e responsabili. La separazione dei poteri resta ancora oggi l’antidoto più efficace contro l’abuso del potere». E sulla predominanza velata dell’economia nei procedimenti decisionali lei cosa pensa? «L’economia è fondamentale come base della politica e delle istituzioni. Ma prima dell’economia c’è la persona umana, con i suoi diritti innati, che nessun calcolo economico può annullare. Oggi tende a prevalere un cinismo iper-liberista e globalista che antepone i profitti ai diritti. Occorrerebbe recuperare il primato della persona che ci è stato tramandato dai nostri Padri costituenti». Ma non abbiamo forse creato dei meccanismi legislativi d’intervento troppo farraginosi quando bisogna agire subito? «I meccanismi legislativi possono essere semplificati. Ma occorrerebbe rendersi conto che le lungaggini parlamentari non dipendono dalle regole costituzionali, ma da un sistema politico frammentato, inutilmente rissoso, con una maggioranza che tende a prevaricare ed un’opposizione che tende a bloccare. Mettete insieme queste due tendenze e nessun meccanismo istituzionale potrà mai funzionare». Qual è il corretto rapporto tra i provvedimenti emanati dal governo e la potestà d’intervento dei presidenti delle regioni o dei sindaci, che oltretutto non sono tutti uguali vista la “specialità” di alcuni? Abbiamo assistito giorno dopo giorno a molta confusione istituzionale o è stata una normale dialettica tra organismo governativo centrale e diramazioni periferiche? «Che vi possa essere una certa dialettica tra Governo nazionale e governi regionali e locali è un fatto naturale e fisiologico. Lo scontro, la confusione e i conflitti nascono dall’incertezza dei confini, che dovrebbero essere tracciati, per le situazioni di emergenza, da leggi emanate, con calma, nelle situazioni ordinarie. Ciò non è stato fatto in passato. I risultati li stiamo vedendo. Speriamo che le difficoltà attuali siano monito e sprone per varare una legge generale sull’emergenza, frutto di un dialogo vero tra maggioranza (qualunque essa sia) e opposizione (qualunque essa sia)». Lei come vede la questione che si è posta dell’attraversamento dello Stretto sul piano prettamente giuridico? «Non entro nel merito di singole problematiche. Mi limito a ricordare che l’art. 120, primo comma, della Costituzione stabilisce che le Regioni non possono «adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni». Solo lo Stato può valutare l’impatto nazionale delle restrizioni al transito da una Regione all’altra». Un’ultima domanda, secondo lei cosa ci aspetta dopo nei “rapporti di forza” tra le varie componenti democratiche del Paese, il cosiddetto regionalismo tramonterà? «Spero proprio di no. Si deve trattare però di un regionalismo cooperativo, non dualista e competitivo. La Repubblica si fonda su due princìpi supremi: unità e solidarietà. Se uno dei due o (Dio ne guardi!) entrambi vengono meno, tutto è perduto. I cittadini italiani stanno dando una grande prova di forza morale e responsabilità. Ciò mantiene la speranza che, passata la tempesta, si possa ricostruire sulla base del prezioso patrimonio di valori racchiuso nella Costituzione. La tutela delle autonomie regionali e locali fa parte di questo patrimonio».