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Che arte difficile governare in Italia

Tra resilienza e ostruzionismo, tra l’insidia sovranista e la necessaria apertura europea

Governare in tempo di pandemia. L’assunzione di responsabilità, che non è abitudine italica, poiché troppo presi dal nostro “particulare”, quando c’è in corso una guerra non dichiarata che mette a repentaglio princìpi che si credevano fossero consolidati: il diritto alla salute, a un benessere generalmente conclamato, un’infanzia e una gioventù “normali” da consumare per lo più a scuola e tra amici, il sorriso dell’incontro; la possibilità di render visita ai propri cari negli ospedali. Tutto questo è svanito cammin facendo, al di là delle nostre più fosche aspettative. Ma si ritroverà, perché anche il giorno più lungo e aspro dura ventiquattr’ore. Governare un Paese spesso ingovernabile, perché egoista ed evasore, in tempo di pandemia, va sottolineato! Ma il Vento non può essere governato, tutt’al più possono essere indirizzate le vele. E il “gioco” delle vele va modulato, perché il Vento è mutevole. Servono buoni marinai, coraggio, idee chiare. E tuttavia, la rotta politica non può sfuggire. E non è sfuggita. Segue percorsi obbligati: la gestione sul territorio dell’emergenza sanitaria, per di più adesso che sta per salpare la campagna vaccinale; il Governo di un Paese su cui stanno per piovere risorse impensabili, comunque illusorie; la sfida del mantenimento di equilibri politici sempre in bilico; l’argine ai populismi e al disprezzo gratuito; il rafforzamento di un welfare che ha subìto duri colpi negli ultimi due decenni; la difesa di interessi nazionali immolati sull’altare di un liberismo sfrenato che ha generato spoliazioni; l’elezione di un presidente della Repubblica, che non è mai cosa da poco.

Agenda politica ai tempi del Covid

L’agenda della politica italiana da marzo in poi è stata occupata dalla gestione dell’emergenza Covid, ma c’è stato molto altro.  Una tornata di consultazioni elettorali su scala regionale. Avrebbe dovuto essere nelle intenzioni del leader leghista Matteo Salvini il momento della spallata al governo giallo-rosso-renziano. Non è andata come Matteo “Mojito”, frattanto rosolato e sotto processo per il caso “Diciotti” e altri respingimenti di migranti sottoposti al vaglio del Codice penale, sperava. Le Regioni più rilevanti – Emilia Romagna, Toscana, Puglia e Campania – sono rimaste sotto l’egida del centrosinistra e la “scontata” avanzata di un centrodestra in deriva populista non c’è stata. Il popolo ha anticorpi. Giuseppe Conte, il premier tirato fuori dal mazzo degli sconosciuti nel 2018 dal Movimento 5 Stelle, su spinta di quel Renzi oggi recalcitrante, indirizzando vele e timone, è rimasto in plancia di comando, dimostrando resilienza e credibilità. Ciò gli ha permesso di aprire e condurre a termine un negoziato fruttuoso con l’Unione Europea su più fronti. Lo sforamento del Patto di stabilità, i 209 miliardi del Recovery Fund, la possibilità di attingere al Mes (Fondo salvastati) per 30 miliardi – sebbene, probabilmente, non se ne farà nulla perché si tratta di un prestito oneroso – , una serie di accostamenti di bilancio da 20 miliardi e una manovra da 40 miliardi; l’acquisizione attraverso Invitalia del 50% di azioni dell’ex Ilva che da sola vale l’1,5% del Pil nazionale: un ritorno al nazionalismo su assetts strategici, con la ciliegina sulla torta della difesa di Mediaset che ha procurato a Conte alcuni “via libera” di Berlusconi in Parlamento e dichiarazioni atte a indebolire il duo Salvini-Meloni, il salvataggio di Alitalia. E, per chiudere il cerchio, il superamento dei decreti Salvini in tema di accoglienza: un’ignominia che ci aveva esposto al pubblico ludibrio dell’Occidente. Decreti censurati dalla Corte Costituzionale, che nutrivano della riserva del presidente Mattarella e frutto, anche, di quell’onda trumpista spazzata via negli Usa dal voto di novembre.

Le strategie

Scelte strategiche e cifre esorbitanti, ma solo in apparenza. Da lanciare sul tavolo del “sistema Paese” – frattanto sfibrato, con una classe media fatalmente impoverita – quando sta per entrare a regime la legge sulla Semplificazione amministrativa, che dovrebbe quantomeno portare a sbloccare appalti per 750 miliardi. Un ginepraio di risorse in arrivo che in realtà nulla dice sull’attuale condizione dell’Italia. Dove si acuiscono le fratture sociali tra chi risiede al di sopra della linea Gotica e chi vive al di sotto della linea Gustav. Con una Calabria piombata in “zona rossa” non per gli effetti dell’emergenza pandemica, ma perché malgrado il fiume di quattrini investiti non è riuscita ad assicurare assistenza sanitaria e si ritrova con 23 ospedali fantasma. Cosa resta oggi sul campo? Il dovere del governo. L’obbligo della responsabilità. La prospettiva della navigazione che ha come elemento prioritario la gestione della campagna di vaccinazioni, ovvero il ritorno alla normalità. Servirà tempo per uscire dal guado, ma ce la faremo. Intanto il 2021 ci prospetta alcuni passaggi obbligati: la gestione del 52 progetti del Recovery Fund, che da noi si chiama Piano nazionale di resilienza e rilancio; un inevitabile rimpasto di Governo... perché la crisi non ci sarà. Non conviene a nessuno nel centrosinistra e neppure a quel Renzi che rottama e minaccia, recalcitra e avanza istanze per esistere. Ma che punta fondamentalmente a due obiettivi: una suddivisione “pro domo sua” dei collegi maggioritari alla luce della legge elettorale che dovrà essere varata dopo la riduzione dei parlamentari; voce in capitolo nelle designazioni ai vertici dei servizi di intelligence; posizionamento strategico nei dicasteri in quel giro di valzer governativo che né Conte, né il Pd, né M5Stelle potranno negargli.

Non c'è tempo

Non c’è tempo per una crisi di governo. A febbraio 2022 si vota per eleggere il presidente della Repubblica e il semestre bianco impedisce il “liberi tutti” da luglio in poi. Dunque, o la crisi si fa in primavera o non la si può fare. A meno che ad aprile, nella fase cruciale delle vaccinazioni, non si voglia scatenare un caos politico incomprensibile anche agli occhi degli italiani più autoreferenziali.
Nuovo vento si alzerà e le vele, solcando le onde di quel “Mare Nostrum” sempre tumultuoso della politica italiana, saranno reindirizzate. Alla ricerca di nuovi instabili equilibri che consentiranno il galleggiamento. Ci siamo passati, la Storia si ripropone ciclicamente, sebbene sotto nuovi abiti. La parvenza del cambiamento, l’ “ammuina” e il gattopardismo, con lampi di salvifico realismo. Questo siamo. Facciamocene una ragione. Resteranno sul campo i cocci di un Paese sfibrato, con classi sociali annullate. Ma non è detto sia un male. Non mancano le risorse per ripartire, né le intelligenze. A chi ci governa l’onere della responsabilità; a noi il dovere di saper scegliere da chi farci guidare.

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