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Conte alla Camera: "Crisi senza fondamento e danno al Paese, provo disagio in questo momento". LA DIRETTA

Nel pieno della pandemia Covid e mentre «da casa ci ascolta chi ha perso i propri cari, confesso di avvertire un certo disagio. Sono qui oggi non per annunciare nuove misure di sostegno o per bozza ultima del Recovery plan ma per provare a spiegare una crisi in cui non solo i cittadini ma io stesso alcun plausibile fondamento». Lo ha detto il premier Giuseppe Conte in Aula alla Camera, raccogliendo un lungo applauso. Il Paese «merita un governo coeso, ora si volta pagina. Questa crisi ha provocato profondo sgomento nel Paese, rischia di produrre danni notevoli e non solo perché ha fatto salire lo spread ma ancor più perché ha attirato l’attenzione dei media internazionali e delle cancellerie straniere. Diciamolo con franchezza, non si può cancellare quello che è accaduto».

Il premier si è presentato alle 12 alla Camera e domani mattina al Senato e rilancerà la sua azione di governo. Ma se alla Camera Iv mostra crepe - dopo Vito De Filippo oggi anche Michela Rostan annuncia che voterà la fiducia - al Senato il gruppo di Matteo Renzi al momento tiene. E non appare all'orizzonte, dopo che l'Udc si è sfilato, un gruppo di costruttori in grado di garantire una maggioranza assoluta al Senato, dove si giocherà la vera partita. I numeri certi a Palazzo Madama, a quanto emerge anche dopo un vertice di maggioranza con il ministro D'Incà e i capigruppo, parlano di 151 senatori. "Il mio obiettivo non è mai stato cacciare Conte ma non sarò compartecipe di disegni mediocri, voteremo le misure che servono al paese ma non siamo in maggioranza", chiarisce Renzi impegnato a scrollarsi di dosso lo stigma di chi ha aperto la crisi al buio. Ma per il Pd e M5s la colpa della crisi porta solo il nome dell'ex premier. "Una cosa e' rilanciare - attacca Nicola Zingaretti - un' altra cosa è distruggere. Se non si rispettano le opinioni degli altri, avendo la presunzione di tenere in considerazione solo le proprie, allora viene meno la fiducia e la possibilità di lavorare insieme". Il Pd in direzione dà il via libera al passaggio parlamentare di Conte, "è un dovere e non un diritto chiedere la fiducia", precisa il leader dem.

Ieri durante una riunione del gruppo M5s al Senato è stata ribadita la linea decisa anche con il premier Giuseppe Conte, secondo quanto riferiscono fonti parlamentari. Il futuro del Paese non si decide sulle poltrone, ma sul programma: se i costruttori vogliono che l’Italia vada avanti devono uscire allo scoperto. E’ la strategia decisa da ieri pomeriggio dal presidente del Consiglio. Le trattative con i responsabili, prima ben avviate, si sono arenate sul "Conte ter". Il premier punta a superare la prova dell’Aula senza dimissioni o nuovi governi. Probabile che ci riuscirà, considerato che al momento con l’astensione dei renziani la maggioranza dovrebbe comunque far leva su 151 sì a palazzo Madama, oltre ai senatori a vita (Piano, Rubbia e Segre) e probabilmente di un paio di voti ex M5s che al momento sono attestati sulla linea dell’astensione.

Tra Renzi e le altre forze della maggioranza i canali di comunicazione si sono interrotti, anche se l’ex premier ieri aveva fatto sapere che un 'big' del fronte rosso-giallo era tornato a sondare Iv. Il Pd ha tagliato ogni ponte, «ma da mercoledì - prevede un big renziano - torneranno a parlarci, perchè non possono andare avanti con un paio di voti in più». Anche il Pd freme, non solo per valutare quale sarà l’esito della fiducia di domani e di martedi, ma anche per capire quale sarà il percorso che Conte vorrà imboccare il giorno dopo la prova delle Camere. Perchè il 'refrain' nei gruppi parlamentari dem è che il premier deve rilanciare l’azione di governo, non limitarsi a galleggiare.

Il piano del presidente del Consiglio è quello, dunque, di passare indenne gli ostacoli di Montecitorio e palazzo Madama e poi lavorare all’allargamento della maggioranza. Domani lancerà un appello ai moderati, a quel fronte europeista che, a suo dire, deve contrapporsi alla deriva sovranista. Con un discorso nel quale punterà a sottolineare che il Paese non vuole la crisi in questo momento e che sarebbe irresponsabile un salto nel buio. Ma sia tra i dem che tra un’ala pentastellata non si nascondono i dubbi sulla strategia. La fotografia che sotto traccia molti 'big' fanno è quella di un premier che, insieme ai fedelissimi, si difende a spada tratta quando, invece - la tesi per esempio di un esponente M5s - avrebbe dovuto già aprire al 'Conte ter' e lanciare il programma alle Camere per il 2023. «Serviva subito un progetto di ampio respiro», il ragionamento. Ma sul percorso del passo indietro del premier, in nome di un rilancio con i pentastellati e i centristi, hanno pesato diversi fattori, non ultimo il fatto che i "costruttori" si aspettavano subito posti da ministri e da sottosegretari.

E allora per il momento la strada è quella di tentare di sfilare altri esponenti di Iv a Renzi. «Votino con noi, sono stati eletti nel Pd», dice il ministro Boccia. Il premier ai suoi interlocutori non avrebbe nascosto che senza i renziana la strada è lastricata di ostacoli, che un semplice emendamento rischia di non passare, considerato che Renzi terrà le mani libere, al di là di dire sì allo scostamento di bilancio. Ma non ci sono alternative, ha spiegato ad un "big" M5s. Ora i fari sono puntati sul pallottoliere alla Camera e al Senato. Ma più di un 'big' della maggioranza spiega che la partita è destinata a durare anche nelle prossime settimane.

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