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Crisi di Governo, la relazione sulla giustizia slitta. Conte prende tempo

Volenterosi chiedono passo lato ministro. Settori Fi in pista

Potrebbe essere rimandata di qualche ora la prova del fuoco per il governo Conte II. Il momento della verità era atteso mercoledì, con la relazione sullo stato dell’amministrazione della Giustizia che il ministro Alfonso Bonafede avrebbe tenuto alla Camera e, si pensava, subito dopo al Senato. E’ a Palazzo Madama, infatti, che la maggioranza ha numeri più risicati ed è in quella sede che sarebbero potuti arrivare problemi seri. All’ultimo voto di fiducia, la maggioranza si è fermata a 156 voti, 5 in meno della maggioranza assoluta e con l’astensione di Italia Viva che ha già fatto sapere di volere votare contro la relazione del ministro.

Alla base dello slittamento ci sarebbero, stando a quanto riferiscono fonti parlamentari, degli impegni istituzionali del titolare del dicastero di via Arenula, ma bisognerà attendere la capogruppo di Palazzo Madama prevista per martedì per sapere quale sarà il calendario dei lavori. Intanto prosegue fra mille difficoltà la ricerca dei «responsabili» o «volenterosi» che dir si voglia e, ad ogni ora che passa, si fa sempre più concreta l’ipotesi di elezioni. Per il Partito Democratico, ormai, il voto è l’unica alternativa a un nuovo governo Conte. Oggi il tessitore degli accordi interni alla maggioranza per il Pd, Goffredo Bettini, è tornato ad invocare quelle forze europeiste, moderate e liberali che mal sopportano di stare sotto il tacco di Matteo Salvini e della destra populista e sovranista. In caso contrario, spiega Bettini, «il voto sarebbe una sciagura, ma non certo un golpe». Un appello rivolto soprattutto ai parlamentari di Forza Italia. Una ricostruzione che non piace al vice presidente di Forza Italia, Antonio Tajani, il quale invita a smetterla con quelle che considera falsità, sottolineando che senza Forza Italia il centrodestra non vince. Quello che aggiunge Tajani, tuttavia, sembra lasciare spiragli a future collaborazioni. Dice il vice presidente azzurro: se Giuseppe Conte salisse a dimettersi, a quel punto la palla passerebbe nelle mani del Presidente della Repubblica verso il quale Forza Italia nutre il massimo di rispetto e di fiducia. Come dire, che ogni dialogo con la sinistra è possibile solo dopo le dimissioni di Conte e durante il lavoro per la formazione di un nuovo Governo. Che poi questo governo debba essere guidato o meno da Conte, Tajani non lo precisa, ma sottolinea che al momento una maggioranza «Ursula», formata dalle forze che in Europa hanno sostenuto l’elezione di Von Der Leyen, non è sul tavolo.

Ad evocare la soluzione che ha portato ad eleggere la presidente della Commissione Europea è un senatore Pd. «In Parlamento c'è una chiara maggioranza che si compone dei gruppi che hanno eletto la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. E’ da queste forze politiche che è doveroso aspettarsi, in questa impegnativa curva della nostra storia, uno scatto di responsabilità maggiore rispetto ad altri», spiega Dario Stefano. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ribadisce la necessità di mettere in campo un progetto «politico, chiaro e trasparente» che possa fare da collante per una nuova maggioranza. Una necessità più volte sottolineata dal Pd e sulla quale torna Goffredo Bettini: «Ci rimane solo di cercare nelle prossime ore di costruire un gruppo politico nel Parlamento, al Senato e alla Camera che non sia solo il recipiente di idee per mettere insieme transfughi, ma che sia una cosa che politicamente esiste». Anche per Mara Carfagna non basta un «rammendo occasionale a una maggioranza senza più ossigeno». Piuttosto, per Carfagna, il partito deve ragionare su un dato di fatto: «Da quando il presidente Berlusconi ha rilanciato l’identità centrista, popolare e patriottica, facendola uscire dal cono d’ombra in cui era sparita, le cose vanno meglio». Parole che potrebbero essere lette come un incoraggiamento a smarcarsi sempre di più dagli alleati Salvini e Meloni. Il centrodestra, al di là delle dichiarazioni, mostra sensibilità diverse in questa fase, con Lega e Fratelli d’Italia che premono sul ritorno al voto (anche se in più di una occasione Salvini si è detto pronto a un governo istituzionale, almeno per traghettare il Paese alle urne). «Il governo ammucchiata, il governo tutti insieme con Pd e sinistre può essere il sogno di qualche giornalista, di qualche editore, di qualche banchiere o faccendiere fantasioso. Per me e per milioni di italiani sarebbe solo un incubo. Diamo forza e fiducia agli italiani», dice l’ex ministro dell’Interno. Mentre il leader di Cambiamo!, Giovanni Toti, sottolinea che «non è il momento dei responsabili ma della responsabilità. E nessuno, nemmeno il centrodestra, può chiamarsi fuori» da un governo di unità nazionale che in una fase di piena emergenza sarebbe «un gabinetto di guerra, come tante volte è stato nella storia».

Lo scontro sul Recovery

"Il Recovery è diventato oggetto di scontro, in un momento in cui tutti dovremmo occuparci di salute e lavoro. Quando si vuole unire e si lavora per le soluzioni lo si fa in silenzio, quando invece le critiche vengono dettate in tv non è per trovare soluzioni, ma per fare propaganda. Era una crisi annunciata". Così, in un’intervista al Corriere della Sera, il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia. Alla domanda se Renzi deve rientrare in maggioranza o meno, dice: "Dovrebbe chiederlo a Renzi, ha ritirato lui le ministre. Il problema di fondo con chi ha fatto la scissione del Pd è che non hanno mai creduto a un’alleanza sociale ed europeista tra progressisti, M5S e liberali. Se hanno cambiato idea, lo dicano". In vista del voto di mercoledì sulla relazione di Bonafede sulla giustizia e dei possibili esiti per il Governo, osserva: "Spero che i parlamentari di Italia viva, eletti dal Pd e nel Pd, di fronte al bivio di un voto con noi o con Salvini e Meloni scelgano il Pd. Se l'operazione non riesce la maggioranza non c'è e diventa scontato che si vada al voto".

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