Domenica 22 Dicembre 2024

I «contenuti» di Renzi: quando la sostanza è la forma

Le cose non stanno esattamente come il bollettino ufficiale della crisi riferisce: è interessato con moderazione, Matteo Renzi, ai «contenuti» che saranno nel programma del governo prossimo venturo; di più ha a cuore la forma: parola da interpretare, mentre viviamo questo grigio scorcio di storia repubblicana, in tutte le possibili declinazioni. Sì, sono stati problemi di forma a cagionare questo pandemonio in tempi di pandemia. La forma, che più d’ogni altra cosa – nel nostro mondo di vetrine e bacheche – è produttrice (o almeno può riuscirle) di rapida accattivante “sostanza”. Non poteva bastare, a Renzi, aver migliorato il Recovery; l’italiano medio non gliene avrebbe riconosciuto il merito, in pochi avrebbero ricordato che era stata Italia Viva a rimediare ai pasticci del primo, secondo e millesimo testo già arrivati alla “ratifica” del presidente del Consiglio. E, ancora, non aveva avuto la giusta eco la sacrosanta battaglia condotta contro i Dpcm di Giuseppe Conte – troppi –, chiara espressione d’un modo eccessivamente personalistico d’intendere il proprio ruolo, su un filo anche rispetto a quanto la Costituzione impone. Pure in emergenze come questa contro il SARS-CoV-2. Soprattutto – continuiamo a immaginare le considerazioni del leader di Iv – poca visibilità durante la crociata a favore del Mes, voluto in fondo da tutti tranne che dai Cinquestelle, del cui veto Conte è rimasto prigioniero. Ora Renzi chiede che i «contenuti» vengano visti e rivisti ai raggi X, poi si parlerà di questo o quel premier. Ma l’unica vera sostanza cui è interessato il Rottamatore passa specialmente per la forma. Che ha determinato lo strappo e ora, con sorprendente probabilità, sta per determinare la ricucitura. Voleva, Renzi, una passerella, e a suo modo mettersi in credito; voleva un Conte mostrato nella sua vulnerabilità e, da qui in poi, ridimensionato e – per forza di cose – più cauto, finalmente più piccolo. Voleva un passaggio al Quirinale e un polverone; tutto questo mentre in Parlamento qualcuno sarebbe uscito allo scoperto e avrebbe dismesso i vecchi abiti per indossarne, più o meno... responsabilmente, nuovi. E chissà che al centro, così sogna Renzi, adesso non si possa, con “Giuseppi” indebolito, ritessere una qualche tela. Che ha da perdere Iv, inchiodata sotto il 3% da diversi mesi? La forma: il Conte ter e non un bis con rimpasto; Roberto Fico esploratore e non – inizialmente, almeno – il reincarico al premier dimissionario; parecchi in apprensione per l’ipotesi, tenuta in caldo, di un governo istituzionale, salvo poi a precisare che lui, Renzi, preferirebbe una “soluzione” politica; le avances, se pure respinte, che hanno comunque lusingato Di Maio, nel tentativo – da parte del leader di Iv – di spaccare i pentastellati (ma se n’andrà davvero, Di Battista?); le parole, da innamorato ferito, rivolte a Pd e M5S («Devono dire se ci vogliono»), quando è stata Iv ad accendere la crisi; un rimescolio di carte, quindi, che continuerà e poco ha a che fare con i «contenuti». Renzi, secondo noi conscio del rischio d’irrilevanza nella prossima legislatura, ha giocato una carta quasi disperata, nella consapevolezza che nessun «contenuto» ha vera risonanza e paga a sufficienza ai nostri giorni, a meno di non abbassare – ad esempio – le tasse a tutti. E allora la forma, appunto. Perché è su questa che si fondano le leadership, da un po’ di tempo. Sulla capacità di movimentare emozioni forti, che contengano promesse avvertite come realizzabili. Renzi ha voluto il rumore per riguadagnare una sua forma, pure, che lo facesse – nel bene e nel male – distinguere (di nuovo) dagli altri. Altrimenti, ha temuto, la “sparizione” è certa. Un tentativo, ultimo, di resurrezione. Non ha esitato, nonostante là fuori ci sia un’Europa che era già diffidente, ma – dall’avvento del virus – aveva finito con l’avvicinarsi all’Italia. Non ha esitato nonostante i pericoli legati alle derive populiste e sovraniste. Alla fine, Conte o non Conte, non sarà successo quasi niente. Neanche ai conti percentuali di Renzi, la cui mossa continua ad apparirci poco proficua per il Paese e per lui stesso, che ringraziamo ancora per il Recovery. Quasi niente perché qualcosa accade comunque, e inaugura traiettorie talvolta oscure di cui – in stagioni successive – si fa carico la Storia. E non sempre va bene.

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