Puntuale, il Settimo cavalleggeri. Squilli di tromba, e superiori ragioni che impongono un cambio di passo: ecco che i politici “di professione”, quelli che s’occupano di cosa pubblica (e, talvolta, privata), rimasti in stallo innanzi – persino – ai propri veti, devono farsi da parte e lasciar strada a chi, per governare, non ha bisogno di compiacere il popolo, periodicamente più plebeo che sovrano. Ecco che i “tecnici” arrivano in soccorso di chi non è riuscito a portare avanti un progetto di crescita, non è stato capace – per variegate cause – di fare quello che andava fatto. Realizzato nel presente, senza tentennamenti. È l’humus ideale per chi si esercita in facile propaganda sull’invadenza dei “poteri forti” (quant’è svilita, quest’inflazionata manieristica espressione!) nel nostro flaccido vulnerabile mondo. Humus a parte, è un fatto che la variante tecnico-pratica, di tanto in tanto, ritorni. Sparta si rifà sulle “fantasie” di Atene, le regole tolgono fiato alla libertà dalle regole. La sopravvivenza dell’uomo finisce col prevalere sui suoi “ideali”, se logori e impotenti. Nel 2011 Mario Monti, oggi Mario Draghi. Arrivano, questi uomini straordinari – il primo già ridimensionato dalla Storia, il secondo d’inarrivabile rango, e sarebbe arduo scalfirne la fama –, quando il gioco è duro e non si può più tergiversare, se la dialettica politica (anche asfittica, è il sale della democrazia) sta annichilendo il “sistema”. Chiamati perché facciano quel che s’ha da fare. Come se improvvisamente “il giusto” e “lo sbagliato” fossero chiari a tutto l’Universo fuorché ai politici “di professione”, che troppo spesso difendono i loro interessucci di bottega pensando alle elezioni che verranno. Se ne infischiano, i “tecnici”, di quel che piace al web, alla base di questo e quel partito, ai giovani, ai sindacati, agli influencer, a insegnanti e pensionati. Vengono chiamati per caratura, non per la parlantina sciolta o perché simpatici. E vengono, fin da subito, ringraziati. Non va così con i (troppi) miracolati dalle urne: sono loro che ringraziano, e dovranno farlo pure domani, e dopodomani, altrimenti al prossimo giro rischieranno di restare a spasso. E sempre, per loro, si parlerà di vittoria o di sconfitta. Altra razza, dal pedigree incerto. Sicché si cementa l’idea che la politica sia una porcheria per impostori in cerca del 6 al Superenalotto, non una “pratica” per chi è innamorato della gente, e vorrebbe farla star meglio, in un mondo equo. Non tutti uguali, ma con la stessa partita da giocare. I concetti di democrazia rappresentativa, partecipativa e/o quant’altro saltano; si è nudi dinanzi alla “tirannia” che è sempre in ogni stato di necessità. La “volontà popolare” cede perché preferisce castrarsi in nome della sicurezza. E gli attori del film interrotto della politica, trasformati in comprimari? Vengono congelati, e proveranno – nel tempo morto della “tecnica” – a tenere in piedi il teatrino dei distinguo, nella speranza che la barricata “giusta” verrà premiata quando si riandrà alle urne. Draghi è l’Europa. Serve per il Recovery, serve per una fornitura più spedita – forse – dei vaccini, serve per “sdoganare” il Mes, serve per rassicurare l’Occidente intero (e anche le galassie nei dintorni) che qui in Italia non siamo tutti pazzi. Sempre che le forze politiche accolgano l’appello del Quirinale. Si guardano, i partiti. E si studiano. E si lacerano. I 5Stelle – li scegliamo poiché caso esemplare – dovrebbero, dopo anni d’anatemi, votare contro Draghi e ciò che “rappresenta”. Eppure sono spaccati, e sono quelli che più – oltre a Matteo Renzi, condannato a un numerino imbarazzante – temono le urne. A tutti (archiviato Giuseppe Conte, la soluzione improvvisata del governo 5S-Lega e poi “reiterata” nell’esperienza giallorossa) fa comodo Draghi, ma nessuno può dirlo. La destra, che ciancia di voto incoraggiata dai sondaggi, ha più interesse ad andare all’incasso quando la tempesta sarà passata. Meglio affidarsi al “tecnocrate” con mani d’amianto: che provi lui a prendere le castagne dal fuoco. Una suggestione, però. Draghi è più politico di quel che si pensi. Parla, per l’ex presidente della Bce, il quantitative easing. È italiano eccome, Draghi: e attenzione, specialmente in era Covid potrebbe piacere. Pure assai.