Un addio definitivo allo sci amatoriale in questo inizio 2021, che manda oltre 10 miliardi in fumo per tutto l’indotto. Lo stop definitivo è confermato innanzitutto dal neoministro del Turismo, che parla di «stagione finita": Massimo Garavaglia - sentiti gli operatori - ha spiegato che «pensare di mettersi in campo dopo il 5 marzo (data di scadenza della proroga dello stop) senza certezze oggettivamente non ha senso». E il nuovo titolare del dicastero, incontrando enti e Regioni, ha anche aggiunto lapidario: «C'è stato un danno per una scelta del governo e i danni vanno indennizzati». Parlando senza mezzi termini di «mancato rispetto per i lavoratori della montagna» in relazione all’ordinanza di Roberto Speranza. Che replica direttamente: «Mai fatto polemiche in questi mesi. E non ne faccio ora. Dico solo che la difesa del diritto alla salute viene prima di tutto». Non dura quarantotto ore l’appello ai ministri a parlare solo con i fatti. Nelle ore in cui Mario Draghi prepara il discorso sulla fiducia che pronuncerà mercoledì in Parlamento, la sua larghissima maggioranza è già solcata da conflitti, accuse reciproche, distinguo. L’invito al silenzio rivolto in Cdm dal presidente del Consiglio mirava proprio a sminare possibili polemiche prima del voto di fiducia. Alle Camere sarà il premier a indicare infatti la via di una collaborazione in nome del comune impegno a superare le emergenze del Paese. Ma intanto esplodono, su un tema delicato come la gestione del Covid e lo stop agli impianti da sci, le contraddizioni di una maggioranza che rischia, come osserva un ministro M5s, di «farsi opposizione da sola». Perciò i partiti invocano un metodo di coordinamento tra i ministri e con le segreterie e i gruppi: sembra destinata ad essere archiviata la stagione dei «capi delegazione», si attende capire dal premier come intenda procedere. E intanto si prova a comporre il complicato rebus dei sottosegretari. Draghi lavora per tutto il giorno a Palazzo Chigi, dove viene visto entrare il ministro per l’innovazione tecnologica Vittorio Colao oltre al capo della Polizia Franco Gabrielli. Nel governo e nella maggioranza si infiamma il dibattito sulle misure anti Covid, nonostante da Palazzo Chigi trapeli che la decisione di chiusura con gli impianti è stata concordata dal premier con il ministro della Salute Roberto Speranza. Ci sono i nodi del ruolo di Domenico Arcuri e della composizione del Cts, fatti bersaglio da Fi e Lega. Ma nulla trapela da Palazzo Chigi, anche se nel merito delle scelte in ambienti di governo si fa notare che alla base di decisioni assai delicate, come quella di un eventuale lockdown, non potrà non esserci innanzitutto una valutazione tecnica, dettata dagli esperti, più che politica. Coesione, è la parola che Draghi ha usato nelle consultazioni con i partiti. Collaborazione, è la richiesta rivolta ai suoi ministri. Del resto le priorità già poste dal premier al centro della sua azione, dai vaccini alla scuola, dal lavoro all’ambiente, corrispondono ad altrettante emergenze del Paese, che è urgente affrontare, anche attraverso una sostanziale riscrittura del Recovery plan. Sul come però le divergenze sono evidenti. Basta la pubblicazione di una vecchia intervista di Renato Brunetta sulla necessità di far tornare in ufficio tutti i dipendenti pubblici, per scatenare le ire degli alleati, prima che il ministro della Pubblica amministrazione precisi. Senza considerare le insidie insite in altri temi: mercoledì in commissione alla Camera dovrebbero votarsi gli emendamenti di Azione, Iv e Lega per il blocco della riforma Bonafede sulla prescrizione, difesa a spada tratta dal M5s, ma ci si aspetta che il governo, con la neo ministra Marta Cartabia, proponga una soluzione. Di fronte a tanti e tali nodi, l’intenzione di un dialogo costante con le Camere, che Draghi potrebbe ribadire nel discorso sulla fiducia, rischia da solo di non bastare. Ecco perché alcuni degli azionisti della maggioranza chiedono che il premier indichi al più presto un metodo: creare un coordinamento tra i ministri, con i segretari dei partiti o con i capigruppo? Con attenzione agli equilibri interni ai partiti si svolgerà intanto la prossima partita dei sottosegretari. Ci sono 40 deleghe da assegnare, incluse quelle pesanti ai Servizi segreti, che Draghi potrebbe tenere per sé, e agli Affari europei. Ad alcune figure tecniche potrebbero andare incarichi come quello dell’editoria, dove si fa anche il nome di Mauro Masi, o della riforma del fisco (si parla di Ernesto Ruffini viceministro all’Economia). A seconda di quante caselle il premier terrà per i tecnici, dovrebbe essere calcolato il 'cencellì dei partiti, che dovrebbero indicare al premier i loro potenziali nomi. L'ipotesi è che circa 12 sottosegretari vadano al M5s, 8 alla Lega, 6 o 7 a Pd e Fi, 1 o 2 a Iv o Leu. Tra i Dem c'è il pressing per una presenza numerosa di donne, con l’impegno di Zingaretti a mantenerlo e la difficoltà a conciliarlo con la possibile conferma di figure come i viceministri Antonio Misiani e Matteo Mauri all’Interno. Nel M5s si spinge per deleghe in ministeri che si occupano del Recovery e si parla dell’ipotesi che Vito Crimi vada alla Giustizia, Carlo Sibilia venga confermato all’Interno, Laura Castelli all’Economia. Nella Lega tornano nomi come Nicola Molteni, Stefano Candiani, Durigon, Barbara Saltamartini. In Fi si citano per lo più senatori come Pichetto Fratin, Caliendo, Malan, per riequilibrare tutti ministri-deputati. A Palazzo Chigi intanto inizia a insediarsi lo staff del premier. Arriva come capo di Gabinetto Antonio Funiciello e viene confermato Roberto Chieppa come segretario generale. Non c'è ancora ufficialmente un portavoce ma nello staff dovrebbe comparire la capo della comunicazione di Bankitalia Paola Ansuini. Sarebbe stato contattato - si raconta - anche Ferruccio De Bortoli.