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Non è un Recovery Fund per giovani: in Sicilia vecchie opere e poco ingegno

L'ex assessore Alberto Pierobon

In Italia permane ancora un equivoco di fondo che condiziona il profilo del Recovery Fund, accorciando l’orizzonte degli investimenti che saranno mobilitati da centinaia di miliardi destinati ai Paesi dell’Unione europea. Le regioni più ottuse si stanno comportando come se fossero al supermercato con il carrello della spesa, carico di opere infrastrutturali, le stesse che da mezzo secolo sono chiuse nei cassetti della politica. Come in Sicilia, dove decine di progetti “in sonno” sono stati svegliati in vista dell’arrivo di venti miliardi, quota che l’Isola dovrebbe incassare. Ma questo approccio da caterpillar  rischia di snaturare lo spirito del programma New Generation Eu (Recovery Fund), fondato sull’esigenza di avviare la conversione di un modello di sviluppo. Non a caso la parola d’ordine è “transizione verde”, intesa come cammino verso un rapporto più compatibile tra i cittadini, l’ambiente e l’assetto economico-produttivo.

La Sicilia si è candidata a fare da culla al centro nazionale di alta tecnologia per l’idrogeno, intuizione dell’ex assessore regionale Alberto Pierobon. Una mossa lungimirante che interpreta il senso della missione  imposta dall’Unione europea. Ora, però, bisogna evitare che la città siciliana, destinata ad ospitare la sede del Centro, diventi un affare campanilistico.

Ma accanto alla prospettiva dell’idrogeno la Sicilia deve proporre l’architettura di un nuovo assetto economico, capace di unire transizione verde  e programma digitale in uno scenario produttivo, in linea anche con le sue doti naturali. Il pressing della Regione solo sulle opere pubbliche copre un vuoto progettuale che rischia di limitare il valore e l’effetto-domino degli investimenti. La sensazione è che nel piano del governo Musumeci non ci sia una strategia imprenditoriale, intesa come spirito-guida di una vocazione produttiva moderna, in grado di coniugare impresa e lavoro in una prospettiva competitiva. Senza questa direttrice il piano siciliano rischia di essere forgiato su un approccio statalista di vecchio stampo, in una cornice di opere pubbliche di matrice campanilistica. E invece è un’occasione storica per liberare le idee, assecondare i visionari, immaginando il contenuto del futuro come se fosse la culla di una nuova civiltà.

Sarebbe la prima vera risposta ai giovani che ogni anno lasciano la Sicilia o che sopravvivono nel sottobosco del precariato. Il piano dell’Europa è lievito per tracciare percorsi di crescita riservati alle nuove generazioni, non per accontentare qualche sindaco megalomane e affarista.

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1 Commento

Elzeviro

28/03/2021 13:42

Assolutamente d'accordo sulla necessità di puntare sull'innovazione e su investimenti strategici con una visione a lungo termine, che consentano di liberare idee e modelli di sviluppo nuovi, in grado di generare PIL ed occupazione. Tuttavia per una regione come la Sicilia non si può partire dal finanziare app, hub, reti e modelli, dato che mancano molte infrastrutture fondamentali, sia piccole che grandi. Servirebbero innanzitutto: interventi sulle reti idriche e fognarie, depuratori e dissalatori compresi; ripascimento delle coste, con la contestuale realizzazione di alcuni porticcioli turistici; messa in sicurezza definitiva delle zone a rischio idrogeologico; interventi di sistemazione delle aree protette e dei parchi; potenziamento degli aeroporti e dei porti esistenti, con annessi hub intermodali, comprese le reti ferroviarie e stradali di appoggio; interventi di riqualificazione edilizia giudiziaria, penitenziaria, ospedaliera e degli edifici pubblici in generale, in chiave di efficientamento energetico; interventi di riqualificazione e ricostruzione edilizia scolastica e universitaria, col potenziamento dei laboratori e la relativa dotazione tecnologica; interventi di edilizia popolare sostenibile; completamento e potenziamento delle reti di collegamento ferroviarie e autostradali, che devono essere ricostruite se ammalorate; interventi di potenziamento della rete elettrica e della rete di fibra ottica che in tante zone esiste solo sulla carta; sostituzione di tutti i bus pubblici ancora a diesel o benzina, con bus elettrici; bonifica delle discariche; investimenti massicci sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (centrali a idrogeno, alcuni termovalorizzatori di ultima generazione, e poi idroelettrico, solare ed eolico). Il "problema" è che ci vorrebbero 100 miliardi per fare bene tutte queste cose, non solo 20. Fatto per bene questo, possiamo pensare alle app e al ponte.

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