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Flop del centrodestra alle amministrative, paga divisioni e scandali

Scoppola non salva nessuno. Cav, ora cambiare regole ingaggio aggiorna e sostituisce il servizio in rete alle 20.41

Matteo Salvini e Giorgia Meloni in una foto d'archivio. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Troppi scandali, gravissimo ritardo nella presentazione di candidati tollerati più che condivisi. Poi feroci polemiche interne, attacchi fratricidi e affrettate smentite. Sono tante le ragioni dietro al disastro totale del centrodestra in questa tornata amministrativa. In un clima di sconfitta totale, ormai è "tutti contro tutti", perché stavolta veramente non si salva nessuno. Va male al "centrodestra di governo" come quello all’opposizione. Se la Lega a Milano torna alle cifre dell’epoca pre-Salvini, quelle del partito post-bossiano del Trota e di Belsito, Fratelli d’Italia non sfonda. Insomma, «se Sparta piange, Atene non ride». Un vecchio detto che vale anche all’interno della partito verde: a Varese, la città di Giancarlo Giorgetti, a metà dello spoglio, è testa a testa tra il candidato «giallorosso» è quello leghista.

Malissimo a Napoli, maluccio a Torino, sfida questa a cui il centrodestra guardava con enorme speranza. A Roma, Enrico Michetti, si salva dallo tsunami, va al ballottaggio in testa, ma è chiaro che il secondo turno sarà una via crucis. Rimane solo il successo in Calabria, ma quella era una partita vinta in partenza. Solo nei prossimi giorni lo studio dei flussi dirà esattamente quanto l’astensionismo record abbia penalizzato il centrodestra. Tuttavia, in politica chi vota decide, chi sta a casa no. Ne è perfettamente consapevole Matteo Salvini che con grande onestà ha fatto subito autocritica. Meloni, invece, forte della primazia del suo partito a Roma, dice che «un centrodestra a trazione FdI è molto competitivo». Tuttavia l’Italia non è solo Roma. E a urne chiuse nessuno ha chiara la ricetta su come uscire da questa batosta. Il rischio è quello di esacerbare gli animi, già molto provati da una campagna a nervi scoperti, e far ricacciare l’intera coalizione in una deriva "lepenistaà, estremista, in cui magari si ottengono molti voti ma mai abbastanza per vincere e governare. La soluzione non può essere chiudersi a riccio in un’ alleanza formata da 'vedove del trumpismò ormai archiviato da tempo, con scarsi rapporti con l’Europa che conta. E soprattutto con un grave problema di classe dirigente. Il moderato Maurizio Lupi, interpretando il pensiero di molti, parla di una «scoppola». Bocciato dalla competizione milanese, tutto sommato solo perché politico e non civico, si toglie un macigno dalle scarpe ricordando che «la selezione dei candidati sembrava X Factor». Un panorama di "civici" sconfortante, la cui debolezza era chiara da tempo a Silvio Berlusconi, tanto che fuori dal seggio già annunciava novità nel metodo di selezione dei candidati. Ma non è una questione solo di procedure più o meno democratiche: sempre il Cavaliere, nei giorni scorsi, aveva fatto capire che a suo giudizio con l’asse sovranista Salvini-Meloni non si va da nessuna parte, figuramoci a Palazzo Chigi. Divisi su tutto, strategie, valori e programmi, senza una leadership chiara, senza un "federatore", come infierisce Enrico Letta, il centrodestra è però costretto a fare buon viso a cattivo gioco.

Sa che il suo compito principale ora è presentarsi unito e compatto alla madre di tutte le battaglie, quella che si apre a febbraio sul successore di Sergio Mattarella. Paradossalmente, proprio il fatto che la mazzata non abbia risparmiato nessuno, potrebbe avere un effetto positivo, rinviando 'la resa dei contì tra i leader e all’interno dei singoli partiti. Ma per farlo serve grande calma e sangue freddo, un’attitudine che è mancata nelle ultime settimane. E chissà che l’annunciato ennesimo ritorno dell’eterno Silvio Berlusconi possa aprire una fase nuova, puntando anche sulla federazione che, con 479 voti potenziali, potrebbe gestire da un punto di forza l’elezione del nuovo Capo dello stato.

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