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In politica la Riconoscibilità vale più del leaderismo

Ridimensionato il leaderismo che parla perlopiù alle pance con spin doctors che predicano male e razzolano peggio in ossequio ad algoritmi insani, la tornata elettorale ci riconsegna il valore della Riconoscibilità del candidato in politica.

Depurata, e non appaia paradossale, da una massiccia affluenza alle urne; esplosa l’illusoria bolla tripolare con il crollo del M5Stelle; ridimensionato il leaderismo che parla perlopiù alle pance con spin doctors che predicano male e razzolano peggio in ossequio ad algoritmi insani, la tornata elettorale ci riconsegna il valore della Riconoscibilità del candidato in politica. E il suo rapporto con il territorio, che è radicamento e non imposizione, assunzione di responsabilità e non mera sfida civica che non di rado si rivela impresentabilità quando non incompetenza.

E così Sala sbanca a Milano, Manfredi e Lepore a Napoli e Bologna, Lo Russo sorprende a Torino, Occhiuto si prende la Calabria (regalando al centrodestra l’unico sorriso pieno), Napoli surclassa Sarno a Salerno, l’eterno Mastella arriva a un soffio dall’elezione al primo turno a Benevento.

Quel centrosinistra che nel Paese non appariva maggioranza ha vinto le consultazioni conquistando tre grandi città metropolitane e ora sogna Roma e Torino; il centrodestra dai potenziali profluviali consensi registra solo una significativa, ma non troppo, crescita di Fratelli d’Italia, il flop clamoroso della Lega, la caduta libera al Nord e al Centro di Forza Italia che ancora una volta deve aggrapparsi al Sud. Ma il cui leader, Silvio Berlusconi, riceve il miglior complimento che si potesse attendere da un avversario politico: «Senza il Cav federatore non c’è centrodestra», ha affermato Enrico Letta, che in un sol colpo chiude la contesa con Renzi e Calenda e costringe il M5Stelle a entrare nell’orbita del Pd per sopravvivere.

La Riconoscibilità, dunque. Che si fa credibilità e che cattura il consenso di chi, motivato, e sono sempre meno, si reca alle urne per scegliere da chi dovrà essere governato. Una lezione da imparare a memoria in vista delle Politiche del 2023, quando ciascuna coalizione dovrà scegliere i candidati per i collegi uninominali e per la quota proporzionale. Non è forse ancora venuto il tempo del tramonto del sovranismo, virus politico che periodicamente si ripropone, ma che si sia posto un argine al leaderismo dogmatico è indubbio. Oscillazioni e doppi forni non pagano, lotta e governo disorientano. E fanno rima con irriconoscibilità. Chissà se Salvini lo ha compreso.

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