Immaginavano sorti magnifiche e progressive, si ritrovano a sognare un terzo polo centrista lib-dem sotto l’egida di Draghi, che non ci pensa neppure, mentre - in via parallela - cercano una sponda nel redivivo Berlusconi e strapuntini in vista dei ballottaggi al “detestato” Letta. Matteo Renzi e Carlo Calenda sono due mosche nel bicchiere. Niente affatto... tranquilli, soprattutto in proiezione elezioni Politiche: sempre più probabile si svolgano nel marzo 2023, ovvero a scadenza naturale delle Camere. I due partitini che guidano, Italia Viva e Azione, sono accreditati su base nazionale di consensi che oscillano tra il 2 e il 3%, senza apparentamenti Renzi e Calenda resterebbero fuori dal Parlamento. E così fanno l’occhiolino a Berlusconi, cercano sponde in Giovanni Toti e in +Europa, ma allo stesso tempo lasciano linee aperte d’interlocuzione con il centrosinistra e preannunciano sostegno a Gualtieri. Renzi: «Mai con un centrodestra sovranista». Calenda, avant’ieri: «Sosterrò Gualtieri nel ballottaggio a Roma se non ci saranno esponenti M5Stelle in Giunta». Ieri concetto ribadito con sostanziale correzione di rotta dell’europarlamentare (eletto col Pd e poi fuoriuscito) giunto ben distante dal secondo turno nella Capitale malgrado roboanti quanto illusorie previsioni: «Sì a Gualtieri, ma voglio vedere il programma». Enrico Letta, che ha conquistato il seggio alla Camera a Siena, ovvero nella “tana del lupo” Renzi, incassato l’indubbio quanto insperato successo alle Amministrative, s’è seduto sulla riva del fiume. A Roma arriveranno i voti pentastellati con cui si è stretto un asse strategico in proiezione nazionale; a Torino emergono “rumors” in base ai quali i sindacati si starebbero mobilitando nella fabbriche per portare alle urne gli operai astensionisti al primo turno. Anche Berlusconi è seduto sulla riva del fiume. La deriva sovranista di Lega e FdI paga meno del previsto sotto l’aspetto elettorale, per di più se sbagli la scelta dei candidati e degli spin doctors (caso Morisi). Ma ora emergono anche due pericolose variabili che giocano a sfavore di Salvini e Meloni. Nella Lega è in corso un regolamento dei conti tra la fazione governista e moderata (Giorgetti, Zaia, Fedriga) e quella salviniana; in Fratelli d’Italia si teme la slavina d’immagine e giudiziaria che deriva dall’inchiesta di Milano sulla “lobby nera”, le ipotesi di riciclaggio e finanziamento illecito al partito. Un rimescolamento delle carte sullo scacchiere politico e partitico impensabile fino a una settimana fa. E intanto Draghi governa, perché quel che va fatto deve essere fatto.