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Festival di geopolitica, l’Europa e la sfida dell’autonomia. Cina nuova antagonista

A Catania il Festival di geopolitica Bill Clinton ospite d’eccezione nella prima giornata. Gli Usa hanno spostato sul Pacifico l’asse degli interessi.

Il baricentro geopolitico planetario si è trasferito sul Pacifico. Dal bipolarismo Est-Ovest generato dalla Seconda Guerra mondiale, con blocchi di Paesi contrapposti e schierati con la Nato o col Patto di Varsavia, il Ventunesimo secolo sposta l’asse dei rapporti di forza tra l’Asia e il continente Nord Americano. E se si volesse valutare un’ipotesi terzopolista non si potrebbe non contemplare la Russia. In questo contesto l’Europa rischia la marginalità? Quale dovrà essere il suo ruolo nei rapporti con l’alleato storico, gli Usa, dopo la Brexit, alla luce della dismissione degli interessi in Afghanistan degli Stati Uniti e, a ruota “obbligata”, delle nazioni del Vecchio continente? E ancora, quale partita sono chiamate a giocare le cancellerie europee nei rapporti con la Cina? È venuto il tempo del multipolarismo, concordano diplomatici, politici occidentali, analisti. Europa ancorata ad Ovest ma con auspicati, anzi necessari, grandi spazi di autonomia.
Bill Cinton, ospite d’onore del Festival di geopolitica che si sta celebrando a Catania per iniziativa dell’EastWest European Institute e dell’Associazione Diplomatici (Linkiesta, Sky Tg 24, Università degli Studi di Catania, Fondazione Sicilia e quotidiano “La Sicilia” partners), non si sottrae a un’analisi che è ferma sebbene i toni utilizzati appaiano giocoforza sfumati, «perché i cinque anni di trumpismo vanno ancora metabolizzati», perché di fatto siamo all’alba di una nuova era a guida Biden: il cerchio aperto dalla caduta del Muro di Berlino si è definitivamente chiuso. E tuttavia non ha dubbi il 42° presidente Usa, collegato in videoconferenza, che «l’Europa è stata, è e sarà interlocutrice privilegiata degli Stati Uniti». E non solo perché è ancora in vita la Nato, sebbene picconata da Trump: quanti rimbrotti agli europei per contribuire, a suo dire, in modo economicamente insufficiente al mantenimento dell’organizzazione atlantica. «Cooperazione e libertà» detta Clinton: la prima è una missione economica che racchiude in sé i principi del solidarismo; la seconda è il frutto dei valori democratici ai quali non si può abdicare nelle interlocuzioni internazionali. Ma l’esperienza afgana brucia. Duemila miliardi di dollari spesi dagli Usa in vent’anni in un Paese riprecipitato tra le braccia dei talebani. Ingenti le risorse impiegate anche dagli europei e - quel che più provoca dolore - centinaia di vite immolate sull’altare di una democrazia da inoculare tra i tessuti di una nazione refrattaria, che nega dignità alle donne, che è poi solo l’afflizione più atroce.

Giuseppe Scognamiglio, presidente di “Ewei”, a lungo diplomatico e oggi docente alla “Luiss” e alla “Federico II”, mente e anima del Festival di geopolitica con Claudio Corbino, presidente di “Diplomatici” - un’associazione che guarda ai giovani e alla loro formazione che deve essere «esplorazione del mondo e dei sogni, delle ambizioni e delle inclinazioni» -, chiede ai diversi relatori se siamo di fronte «alla fine del secolo americano». Non è un sospetto né una constatazione, piuttosto l’estrema semplificazione di un’analisi che porta a una risposta obbligata, che infatti arriva a più voci: siamo di fronte a una trasformazione degli interessi statunitensi e l’Europa deve trovare la quinta percorribile per giocare un ruolo da protagonista.
Angelino Alfano, tra i vari intervenuti, traccia una rotta lucida e netta: «È tempo di dar vita a un esercito europeo». Fu la Francia nel 1954 ad affossare il Ced che Alcide De Gasperi avrebbe voluto e, se non fosse venuto a mancare, avrebbe ottenuto. «Ma oggi il problema più che mai si ripropone. ma è sempre la Francia l’ostacolo, che dovrebbe mettere a disposizione dei Paesi europei le sue 300 testate nucleari e fors’anche il seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ma da Macron è già giunto un “no, merci”. In un contesto che è mutato, ancorché appaia ancora fluido, l’Italia può giocare un ruolo da protagonista: per capacità economiche, peso storico, «prestigio del suo premier Mario Draghi». Tanto più che in Germania è tramontata l’epoca di Angela Merkel e in Francia si voterà a breve. È forse venuto il tempo di un’Italia protagonista, tanto più che le ingenti risorse del Recovery possono diventare il motore del decollo. Nostro e dell’Europa.

 

La pandemia? Uno choc. E l’Ue libera risorse

Da “tiranna” a, finalmente, “amica”. È così che adesso viene percepita l’Unione europea, con la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen che stanzia - assumendo oneri in proprio - 750 miliardi di euro per i 27 Paesi dell’Unione, con più di un monito ai Governi sovranisti: sul rispetto dei valori democratici e delle minoranze direttive stringenti.
La fetta più ampia è toccata all’Italia, 230 miliardi, per un Piano nazionale di rilancio che è davvero l’ultimo treno per uno sviluppo che sia autenticamente compiuto: la cancellazione delle sperequazioni tra Nord e Sud, la possibilità di colmare il gap infrastrutturale tra aree del Paese, l’ammodernamento delle scuole e gli investimenti su Università e ricerca ma, soprattutto, le due grandi sfide rappresentate dall’innovazione digitale e tecnologica e dalla transizione ecologica. Coordinate di un percorso obbligato negli approdi e nei tempi entro cui gli obiettivi dovranno essere raggiunti, perché Bruxelles non offre scappatoie. Il quadro entro cui andranno incastonati i 51 macro-progetti prevede l’ineludibile cornice delle riforme, che toccano aspetti sia “strutturali” che civili. Fisco, giustizia penale e civile, pubblica amministrazione, concorrenza i campi di azione. E, non ultima, la stretta sulle delocalizzazioni. Il Governo Draghi, sostenuto dalla maggioranza più ampia che si sia mai registrata nella storia d’Italia, eccezion fatta per i Governi di unità nazionale dopo la Seconda Guerra mondiale, non è al riparo delle fibrillazione partitiche ma va avanti. Nell’opening e nei quattro panels tenuti nella prima giornata del Festival, più relatori lo hanno evidenziato. Analisi a più voci - da Salvatore Carrubba, già direttore del “Sole 24 Ore” ai deputati europei del Pd Brando Benifei e Fabio Massimo Castaldo, dal sindaco di Catania Salvo Pogliese all’europarlamentare di Fratelli d’Italia Raffaele Stancanelli, dal direttore de “La Sicilia” Antonello Piraneo all’ex parlamentare e magistrato Giuseppe Ayala intervenuto sui nodi della giustizia - che concordano su un punto: ora o mai più. E il sovranismo, come sottolineato da Angelino Alfano, è stata la conseguenza di restrizioni ai Patti di bilancio e immobilismo su troppi dossier che meritavano risposte immediate. I flussi migratori dal Nord Africa il paradigma degli egoismi e delle contraddizioni.

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