Il centrosinistra vuole un accordo con la Lega, ma non avallerà soluzioni di parte anche se ammantate da profili istituzionali. Il presidente della Repubblica non ha un programma. La rotta che è chiamato a seguire è già scritta nella Costituzione. Nessuno dei due schieramenti ha i numeri necessari per superare i 505 voti che determinano l’eletto al Colle dal quarto scrutinio in poi. Serve quindi un’intesa su un nome in grado di ampliare la platea, anche esterno alla politica: la diplomatica Elisabetta Belloni è valutata con interesse. Lo ha spiegato a chiare lettere Matteo Renzi: un candidato «da far crescere». L’aver sgomberato il tavolo dalla divisiva figura di Berlusconi consente di tracciare una serie di analisi, ma solo in prossimità della prima chiama si comincerà ad avere un primo quadro. A partire dai candidati di bandiera, che oggi e domani serviranno per tenere insieme le truppe e portare avanti le trattative tra i segretari. Enrico Letta non nasconde che sarebbe ben lieto si mantenessero gli attuali assetti: Mattarella al Quirinale e Draghi a Palazzo Chigi, per altri 14 mesi. Salvini ci starebbe pure, così come non prospetterebbero difficoltà il M5Stelle e Leu. Anche Forza Italia e i cespugli centristi si accomoderebbero. L’ostacolo è rappresentato dalla posizione di Mattarella che, al di là degli scatoloni già pronti per essere trasferiti nella residenza privata, a più riprese ha ribadito la non disponibilità ad accettare un secondo mandato. Forse solo di fronte all’impasse parlamentare potrebbe essere indotto a rivedere la posizione. Ma se conosciamo l’uomo dubitiamo che possa farlo. L’elezione di Draghi resta l’opzione più forte. Non ci sono veti e le riserve manifestate non appaiono insormontabili da parte di nessuno. Il nodo è rappresentato da chi dovrà prendere il suo posto a Chigi. Lo hanno chiesto, muovendo pedine bipartisan, a Casini, che ha declinato l’offerta. L’ex leader Udc punta al Quirinale e potrebbe essere la carta su cui i partiti convergeranno a metà settimana. Tra le poche certezze di questa fase giocoforza convulsa, la necessità di portare a termine la legislatura. Per ragioni interne ai partiti, perché c’è una pandemia da “gestire” e perché c’è un Piano di rilancio da mettere a terra e la seconda tranche di fondi europei da portare a casa, 50 miliardi a giugno. La legislatura è a rischio se Draghi venisse bruciato sulla strada del Quirinale. E sarà anche per questo che Letta non molla la presa su Mattarella: toglierebbe tutte le castagne dal fuoco. Da oggi si fa sul serio, i tatticismi dovranno lasciare spazio alle scelte.