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Ucraina, su profughi e rifugiati lo “strabismo” della Gran Bretagna

Boris Johnson

Qualcuno diceva che la democrazia è come la pasta per la pizza: se la stiri troppo, per farla sembrare più grande, si vedono i buchi. Beh, se poi questo capita al Paese più antico nella storia delle libertà, onusto di glorie e di allori, allora la sorpresa diventa stupore. Dunque, il Regno Unito della “Magna Charta” e di straordinari pensatori come Locke, Hobbes e Hume, oggi riscopre una versione, riveduta e corretta, delle “deportazioni”. Boris Johnson, un primo ministro guerrafondaio, che sembra la caricatura malriuscita di Donald Trump, si è inventato il “trasferimento forzato” (o quasi) dei migranti. Quelli che hanno rischiato la pelle affrontando le burrascose acque della Manica, per entrare di straforo in Inghilterra, saranno adeguatamente ricollocati dal governo di Sua Maestà: in Ruanda. Sì, avete capito bene, nell’Africa Subequatoriale. I richiedenti asilo (che, quando tocca a loro, i britannici considerano “clandestini”) saranno trasferiti in aereo nella loro nuova destinazione. Tra le altre cose, per molti commentatori, quella di Boris Johnson è una vera e propria presa in giro: se ne va a spasso, a Kiev, per difendere la democrazia contro la dittatura e le atrocità russe. Ma poi deporta i rifugiati in Ruanda, Paese che ha sulla coscienza un recente genocidio, che ha fatto quasi un milione di morti. Schizofrenia politica? No, più semplicemente cinismo d’accatto di chi, strabicamente, usa tre pesi e tre misure, a seconda della sua più immediata convenienza.
La vigliaccata del governo conservatore ha provocato una levata di scudi nel Regno Unito. Tutta l’opposizione, alcuni esponenti della maggioranza e più di 160 associazioni sociali e non-profit hanno chiesto di ritirare il “progetto-deportazione”. Il sindacato dei dipendenti pubblici Pcs ha definito il piano «un approccio senza cuore, che mostra totale disprezzo per la vita umana, a cui tutti devono opporsi». Di fronte alle resistenze dei funzionari, Priti Patel, la ministra dell’Interno, ha dovuto firmare un ordine esecutivo facendosi carico di «responsabilità personale». Secondo la Bbc, fonti governative hanno precisato che «scoraggiare l’ingresso illegale creerebbe risparmi significativi».
Naturalmente, gli inglesi stanno ricorrendo alle maniere forti nel momento in cui si sono visti catapultare in trincea, negli ultimi tre anni. Gli sbarchi “indesiderati” attraverso la Manica sono aumentati del 400%, arrivando, l’anno scorso, quasi a 30 mila. Praticamente niente, rispetto alle cifre che, ad esempio, abbiamo registrato negli ultimi 10 anni in Italia. Eppure, quando il nostro Paese era sotto pressione e cercava di arrangiare una politica dell’accoglienza (con inevitabili disfunzioni, ma anche con tanta buona volontà) a Londra decine di commentatori “radical-snob” ci hanno seppellito sotto una valanga di critiche. Che adesso, sembra una nemesi, gli si ritorcono contro, con gli interessi. Anche se il Ministro della Giustizia e per l’Immigrazione, Tom Pursglove, ha avuto la faccia tosta di sostenere che «il Ruanda è un Paese progressista, che vuole fornire rifugio e ha fatto enormi passi avanti negli ultimi tre decenni». Aggiungendo che il «nuovo schema» (cioè, il piano di deportazione), farebbe risparmiare un sacco di soldi, ai contribuenti britannici, nel lungo periodo. Il ministro in questione, però, avrebbe fatto meglio a mordersi la lingua, dal momento che il suo tentativo di celebrare le «glorie democratiche del Ruanda» è stato lapidariamente stroncato dalla Bbc. Il prestigioso network televisivo britannico afferma che «l’anno scorso, il governo del Regno Unito ha sollevato preoccupazioni alle Nazioni Unite in merito alle accuse di esecuzioni extragiudiziali, morti in custodia, sparizioni forzate e torture in Ruanda. Nonché restrizioni ai diritti civili e politici». Ma questo a Boris Johnson non interessa. «La nostra compassione può essere infinita – ha detto – ma la nostra capacità di aiutare le persone non lo è. Non possiamo chiedere al contribuente britannico di scrivere un assegno in bianco per coprire i costi di chiunque voglia venire a vivere qui». Insomma, il cuore conta, ma vale molto di più il portafoglio. Un dubbio: è così anche a Kiev?

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