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Draghi chiama Putin: "Sbloccate il grano ucraino". Garanzie sul gas all’Italia

La Russia continuerà a garantire una fornitura «ininterrotta» di gas all’Italia. Forse è questa l'unica buona notizia emersa dal colloquio telefonico tra Vladimir Putin e Mario Draghi. Il dialogo, invece, non è stato facile su un’altra drammatica conseguenza della guerra in Ucraina, cioè lo spettro di una carestia nei Paesi in via di sviluppo per il blocco delle esportazioni di grano ucraino: la ragione per la quale il premier ha chiamato il capo del Cremlino. Putin ha dato la colpa alle mine disseminate dagli ucraini nel Mar Nero e alle sanzioni imposte a Mosca, che chiede di revocare. Il presidente del Consiglio ha fatto sapere tuttavia di volere insistere nel cercare una soluzione e si riserva di parlarne anche al presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Quanto alle prospettive di pace, Draghi ha affermato senza mezzi termini che, almeno per ora, «non ci sono spiragli».

D’altra parte, ha spiegato il premier, ad eccezione della parte dedicata alla crisi alimentare la telefonata si è risolta quasi in un monologo del leader russo, intento a ribadire le sue ragioni. «Ha parlato soprattutto lui», ha raccontato Draghi nella breve conferenza stampa seguita al Cdm. Scopo del colloquio era «chiedere se si potesse far qualcosa per sbloccare» i milioni di quintali di grano bloccati nei porti ucraini che potrebbero marcire, mentre in alcuni Paesi africani si rischia una crisi alimentare di «proporzioni gigantesche e conseguenze umanitarie terribili». Un dramma che, ha sottolineato nei giorni scorsi il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, può portare ad «altre guerre», magari non lontano dalle coste italiane. Putin, secondo il resoconto del Cremlino, è tornato a chiedere la revoca delle sanzioni occidentali che ha condannato come «politicamente motivate», ribadendo che sono queste restrizioni a gettare lo scompiglio sui mercati. Se ciò verrà fatto, ha assicurato, la Russia è pronta ad esportare i suoi cereali e fertilizzanti. Il leader russo ha aggiunto che il suo Paese sta facendo ogni sforzo per assicurare rotte sicure per le navi mercantili nel Mar Nero e nel Mar D’Azov, quest’ultimo ormai sotto il controllo delle forze d’occupazione, e ha accusato invece l’Ucraina di «ostacolare» la navigazione con l'uso delle mine. Stessa musica per quanto riguarda i negoziati di pace: è Kiev che li vuole tenere «sospesi».

E in serata l’ex presidente Dmitry Medvedev ha definito «impossibili da realizzare» le condizioni poste da Zelensky, che chiede un ritiro russo sulle posizioni del 23 febbraio. Quanto ai territori occupati, lo zar ha detto a Draghi che i russi stanno lavorando per «stabilire una vita pacifica nelle città liberate del Donbass». Nemmeno un accenno, dunque, alla possibilità di un ritiro negoziato. Anzi, l’offensiva russa prende sempre più vigore nell’est del Paese. «Non abbiamo altra alternativa che combattere perché gli occupanti vogliono tutto quello che abbiamo», ha constatato Zelensky. Nei resoconti delle due parti sulla conversazione Putin-Draghi non si è fatto cenno al piano di pace italiano che, pur non essendo stato inviato a Mosca, è già stato respinto sulla base delle indiscrezioni trapelate sulla stampa. Irricevibile, per i russi, è l’ipotesi di riportare sotto la sovranità di Kiev, pur con uno status autonomo, il Donbass e la Crimea. «Il signor Di Maio è attivo nel campo dei media e sta promuovendo l’iniziativa italiana dei quattro punti. I politici seri che vogliono ottenere risultati e non sono impegnati nell’autopromozione di fronte al loro elettorato, non possono proporre questo genere di cose», è stato il commento sprezzante del ministro degli Esteri Serghei Lavrov. Nessun segnale, dunque, che la via della diplomazia possa essere ritrovata. Un clima di smarrimento che si ritrova nelle parole del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg: "Nessuno può dire con certezza quando e come finirà questa guerra».

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