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Dibba chiude al Movimento 5 Stelle: sotto Grillo padre-padrone non ci sto. Calenda-Renzi: dialogo avviato

Alessandro Di Battista

Alessandro Di Battista chiude, forse definitivamente, le porte ai 5 stelle. La distanza con i vertici del Movimento, in cui l’attivista è politicamente nato e cresciuto, resta siderale e il "pasionario" ex pentastellato decide di togliersi più di un sasso dalle scarpe spiegando sui social perché, anche questa volta, ha deciso di non candidarsi in Parlamento. Dopo l’appoggio all’esecutivo guidato da Mario Draghi, bollato come «il governo dell’assembramento», dice di non fidarsi più «politicamente» di Beppe Grillo» che «ancora, in parte, fa da padre padrone, e io - chiosa - sotto Grillo non ci sto».

Nel lungo video pubblicato sui social, rivolto ai suoi molteplici follower e sostenitori, Dibba racconta il travaglio che lo ha portato alla scelta di non correre alle parlamentarie. Una decisione sofferta prima della quale ha sentito anche Giuseppe Conte: «E' stato molto sincero», «è un galantuomo» e "anche parlando con lui ho compreso che ci sono tante componenti dell’attuale M5s che non mi vogliono». E’ in particolare con il garante del Movimento, con il presidente della Camera Roberto Fico e con Luigi Di Maio (che ha a sua volta lasciato i 5stelle) che l’ex 5 stelle se la prende. «Da Grillo passando per Fico non mi vogliono per una serie di ragioni - lo sfogo -, forse perché temono il fatto che io sia poco imbrigliabile, che io possa (giustamente) ricordare gli errori politici commessi soprattutto negli ultimi due anni».

Punta il dito contro le interviste rilasciate da esponenti del Movimento sul suo conto: lo dipingevano come «un distruttore tipo Attila», «quando forse i disboscatori di consensi sono stati altri...». Di Battista sostiene di essere stato esortato a candidarsi da "decine di migliaia» di persone ma di aver scelto diversamente per mancanza di sintonia con il resto dell’attuale M5s. Ed ora è pronto a fondare un’associazione per fare politica dall’esterno: "Vedremo dove porterà questo percorso». La rabbia nei confronti degli ex compagni di viaggio, però, è ancora palpabile. C'è chi è pronto ad «infilarsi nella sede del Pd per elemosinare un seggio, dopo aver detto peste e corna», l’affondo, «io non sono come queste persone, grazie a dio». Anche prima dell’addio al Movimento, riferisce di aver «avuto momenti difficili», ad esempio, «quando mi hanno impedito di fare il capo politico del M5s evitando di votare. Non hanno neppure voluto pubblicare i voti degli Stati Generali perché io avevo preso il triplo dei voti di Di Maio», che allora «faceva ancora il ducetto». Dopo il post, che incassa a cinque ore dalla pubblicazione, oltre 4mila commenti e quasi mille condivisioni, la base è in fermento.

E il malcontento si riversa anche sulla pagina Fb di Beppe Grillo: «Hai fatto un errore gravissimo a tenere fuori Alessandro Di Battista. Vedi di rimediare», scrive un utente. "Grillo la nostra storia inizia con loro, Alessandro e Virginia», rimarca un secondo, riferendosi ad un’altra grande esclusa dalle candidature, a causa del limite dei due mandati: Virginia Raggi. L’ex sindaca di Roma, che di recente era intervenuta in maniera critica sulle «pseudo alleanze di comodo" del M5s e sulle decisioni prese «nelle stanze del 'palazzò», ha promesso il suo sostegno a «tutti i candidati alle parlamentarie». A rinunciare alle parlamentarie è stato anche un altro volto noto del Movimento, il portavoce storico Rocco Casalino. Anche in questo caso la decisione è stata tormentata: «Non ci ho dormito per 4 notti - afferma Casalino in un’intervista - poi, ho capito che la mia presenza in lista avrebbe scatenato polemiche e l’ultima cosa che voglio è arrecare un danno al Movimento o a Conte».

Renzi-Calenda, dialogo avviato ma si tratta ancora

 Trattative febbrili tra Azione e Italia Viva per raggiungere un accordo nelle prossime ore in modo da presentare il 25 settembre agli elettori l’opzione di un Terzo Polo, a trazione «draghiana». Tra accelerazioni e frenate, dopo una giornata convulsa, quello che è certo è che le parti si stanno parlando e un’intesa sembra a portata di mano. In serata, indiscrezioni non confermate da fonti ufficiali riferiscono che si starebbe lavorando già a un simbolo unico, che conterrebbe la scritta "Calenda» e sotto, più piccoli, i simboli dei due partiti. La giornata comincia con un batti e ribatti tra i due leader, sui giornali. Carlo Calenda, dalle colonne di Repubblica, si dice pronto a discutere con Renzi per un’alleanza. Ma precisa: «Un accordo tra di noi non è né scontato né banale. Con lui ci sono rapporti deteriorati nel tempo, ci unisce una consonanza programmatica e ci dividono alcune scelte». Sulla stessa linea d’onda, ma più ottimista, il segretario di Italia Viva: «Le idee in comune sono più vicine delle diversità metodologiche e caratteriali che ci separano. Noi - osserva a «Il Messaggero - ci siamo posizionati sul Terzo Polo da subito. Se Azione ci sta, siamo pronti a ricominciare insieme, senza primogeniture ma puntando al bene dell’Italia. Io e Carlo insieme possiamo fare il botto».

Quindi, per tutto il giorno, nei capannelli del Transatlantico, un susseguirsi di rumors e indiscrezioni. Dai rispettivi staff trapelavano segnali contraddittori. Dopo pranzo, è il partito di Renzi a frenare: Italia Viva - riferiscono fonti vicine all’ex premier - è ancora davanti al bivio tra correre da soli o stringere l’accordo con Azione. Tuttavia, alla luce della freddezza mostrata dal partito di Calenda, tra i dirigenti renziani c'è scetticismo sull'intesa. Quindi le stesse fonti prendono tempo, escludendo una stretta entro oggi. Domani - fanno sapere - è attesa la convocazione degli organi del partito per decidere sul simbolo. Poco più tardi, Calenda, intervistato in diretta sul sito de La Stampa da Massimo Giannini, apre la porta all’intesa ma resta assai prudente: «Spero che nasca il terzo polo, ci sono le condizioni perchè accada. Al momento - aggiunge - c'è una discussione con Italia Viva che dev'essere chiara: abbiamo il compito di integrare due corpi. No, oggi non c'è un incontro e posso assicurare che l’accordo non c'è ancora». Quindi ricorda che ad ogni modo. se ci sarà l’accordo, questo terzo polo dovrà avere una leadership «chiara».

«Può essere magari anche una donna....», aggiunge. E in tanti pensano che l’europarlamentare pensi alla ministra Mara Carfagna come la figura in grado di guidare la nuova formazione alle prossime elezioni in una suggestiva competizione tutta al femminile con Giorgia Meloni. Calenda, infine. ribadisce che per Azione vale l’esenzione, per cui non esiste il problema della raccolta delle firme per la presentazione del simbolo. Tuttavia, per essere assolutamente certi di correre alle elezioni, la soluzione sarebbe quella di presentarsi con Italia Viva. Altrimenti, appunto, raccogliere le firme: già ieri, in una riunione zoom, ha parlato con i direttivi provinciali per organizzare il «piano di battaglia», che partirà anche con l’invio di newsletter e con l'individuazione di persone che organizzino il lavoro. La norma prevede che le firme debbano essere 36.750 per i 49 collegi della Camera e 19.500 per i 26 collegi del Senato (in pratica, significa dover trovare 36.750 persone, che firmeranno sia per la Camera sia per il Senato), da presentare entro il 21-22 agosto.

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