"Quote di genere. Una battaglia infinita ma mai avrei pensato di dover tornare a difendere la legge che ho portato all’approvazione dopo dieci anni di innegabili successi. E di doverla difendere da una donna che si candida a diventare la prima Presidente del Consiglio italiana. E invece… Giorgia Meloni, unica segretaria di partito donna, (auto) candidata in pectore a guidare il governo che uscirà dalle prossime elezioni, annuncia in campagna elettorale non solo la sua contrarietà, nota, alle quote ma la balzana, per non dire scellerata, intenzione di abolirle. E vista l’ostinazione e la volontà ferrea dimostrata dalla leader di FdI, c’è poco da star tranquilli". Lo ha affermato, in una nota, Lella Golfo, presidente della Fondazione Marisa Bellisario
"Ora, il mio primo interrogativo è: possibile che con tutti i problemi del Paese ‒ con l’inflazione ai massimi storici, una guerra alle porte dell’Europa, l’allarme energetico e la difficile uscita dalla pandemia ‒ la Meloni non trovi bersaglio migliore delle quote di genere, l’unico strumento - ha proseguito Lella Golfo - che finora ha aumentato una presenza femminile da sempre minoritaria? Con l’occupazione femminile al 51% ‒ 18 punti percentuali inferiore a quella maschile, che diventano 30 per le donne con figli nella fascia d'età 25-54 ‒, il tasso di natalità tra i più bassi del mondo e la copertura degli asili nido abbondantemente sotto gli standard europei, con il 77% delle dimissioni volontarie firmate da madri con figli e il part time come scelta obbligata per lavorare l’argomentazione pro donne della futura Premier è l’abolizione delle quote???"
"Ora, nemmeno io, come tutte le donne intelligenti di questo Paese, “sogno un futuro di quote” (Meloni dixit) ma è innegabile - secondo Lella Golfo - che, almeno in economia, le quote sono state un antibiotico che ha guarito il maschilismo delle aziende italiane, portando le donne dal 5.6% al 42% e ponendo il nostro Paese ai vertici, in Europa e nel mondo. Il mercato, e non le donne né la politica, ha premiato le quote di genere, decretandone un successo al di là di ogni aspettativa e previsione legislativa. E che d’altro canto ce ne sia bisogno anche in politica l’ha dimostrato il 15% di donne sindaco confermato dalle ultime amministrative. Persino Papa Francesco sta applicando le quote ai vertici della Chiesa! Persino il Pontefice ha compreso che a parlare di meritocrazia senza adoperarsi perché siano davvero i migliori a emergere è vuota retorica. E spetta alle istituzioni ‒ e ai leader di un Paese democratico e civile ‒ garantire condizioni di pari opportunità per tutti. Se non con le quote, mi chiedo, come? Perché forse bisognerebbe spiegare a Giorgia Meloni che per una “vincente” come lei, migliaia di donne, in economia come in politica, si scontrano contro pregiudizi e cooptazioni al maschile e restano fuori dalla competizione. E se per avere più donne ai vertici ‒ nelle aziende, nella politica, nelle università, negli ordini professionali, etc… ‒ si deve passare per le quote, ben vengano!!"
E allora Lella Golfo torna all’interrogativo iniziale, "perché è innegabile che la Meloni sia una politica navigata e che ogni sua dichiarazione sia frutto di una precisa strategia. Assodato che abolire le quote non sia tra le priorità di qualsiasi agenda politica sensata ‒ e che i meccanismi per abolire le leggi siano fortunatamente a prova di sconsideratezza ‒, la scelta di un attacco tanto preciso e reiterato mi sembra piuttosto un modo per rafforzare quell’immagine di “dura e pura” con cui ha scelto di farsi strada ‒ con indubbio successo ‒ in una politica maschile, maschilista e machista. Quasi a dire: se finora i Premier sono stati tutti uomini, allora io strizzo l’occhio al maschilismo che alberga nella maggioranza dei cittadini italiani, e dei miei elettori. Se tutti si aspettavano dalla prima donna candidata a guidare il Paese un manifesto per le donne italiane, io mi smarco, cogliendo tutti di sorpresa. In fondo è stata la strategia adottata finora, e ha pagato. Senza contare che la leader è fallacemente convinta che le quote siano un “affare di sinistra” e qui pecca di amnesia visto che a portare all’approvazione la prima legge sulle quote in Italia è stata una donna eletta con il Pdl mentre lei era Ministro della Gioventù. Peccato. Peccato perché Meloni certifica il fallimento di una leadership femminile in politica, autentica e diversa da quella maschile. Non siamo mai state, nemmeno nella corsa al Quirinale, del partito “purché sia donna” ma è siamo convinte che l’alternanza, anche di genere, rappresenti un fattore di crescita. E qui mi permetto di segnalare a Giorgia che le donne hanno diritto di voto. Forse l’ha dimenticato ma mi auguro che loro, le donne, non dimentichino di andare alle urne e di difendere uno strumento che, lungi dal rappresentare una “riserva di caccia” (sempre Meloni dixit), ha consentito alle migliori di loro di competere per raggiungere vertici fino a quel momento negati per il solo fatto di esser donne".
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